Lo scenario

Che ruolo abbiamo nella disinformazione?

Roberta Giannì

In Europa e in Nord America, nove individui adulti su dieci navigano giornalmente su Internet. Il Web ha da tempo ampliato gli orizzonti della ricerca di notizie e informazioni, accompagnato dalla crescita parallela dei social media, che nel corso della giornata ci aggiornano su ogni singolo aspetto della società in cui viviamo. La possibilità di ottenere qualsiasi tipo di risultato a seguito di una ricerca online in merito a qualunque questione di nostro interesse ha però fatto sì che nella grande macchina della comunicazione si accendesse una spia rossa: quella del rischio di disinformazione. C’è da chiedersi perciò quanto la disinformazione influenzi la nostra quotidianità e che ruolo ricopriamo noi all’interno della grande macchina del fake.

Anzitutto, facciamo chiarezza. Per disinformazione si intende la diffusione di false informazioni con il chiaro intento di ledere. Diversa è la misinformazione, ovvero la diffusione di false informazioni in maniera del tutto involontaria. Consideriamo l’ambiente in cui ci muoviamo ogni giorno. Viviamo a contatto con la nostra famiglia, insegnanti e amici, e la maggior parte delle idee che sviluppiamo le traiamo proprio da loro, in quanto “persone fidate”; il nostro è un apprendimento sociale ed è alla base della generica trasmissione di informazioni. È a questo punto che dobbiamo considerare un dettaglio importante: il fatto che le  informazioni che acquisiamo dall’ambiente sociale circostante e che a nostra volta diffondiamo, possono essere false o errate.

Negli ultimi tempi, la cattiva informazione ha raggiunto alti livelli di diffusione, toccando anche molte questioni alla base della nostra quotidianità come salute, comportamenti sociali o a chi dare il nostro voto durante le elezioni. I social media sembrano essere tra i principali strumenti che hanno alimentato la cattiva informazione, per il fatto di garantirci una condivisione veloce, semplice e ampia di qualsiasi informazione da noi recepita dall’esterno.

Per darci un’idea di come vengono diffuse facilmente le false informazioni, teorici della comunicazione e sociologi hanno sviluppato un modello, traendo spunto dai modelli utilizzati per la descrizione delle modalità di contagio di un virus. All’interno del modello, le idee corrispondono al virus che si sposta da soggetto a soggetto; il soggetto viene descritto come un nodo che insieme ad altri costituisce una rete. Il filo che collega tra loro i nodi corrisponde alle interazioni sociali tra i soggetti. Il modello ovviamente non si limita a descrivere la diffusione di false informazioni tramite le interazioni sociali tra i soggetti, ma anche tramite i social media. Consideriamo per un momento un meme: esso può arrivare ad essere condiviso anche per più di mezzo milione di volte. Gli individui lo condividono nel tempo e con le loro false convinzioni “infettano” coloro a cui lo inviano, i quali non costituiscono il punto d’arrivo, bensì uno dei tanti centri di diffusione agli altri nodi della rete.

Dunque, come comportarci per “evitare il contagio” di noi stessi e degli altri?

Si è certi del fatto che chi muove la disinformazione lo fa sviluppando metodi sempre più sofisticati, in grado di manipolare in maniera molto semplice le menti del pubblico. Basti pensare ai bots o ai trolls, che inquinano il web con false informazioni o mezze verità. Ovviamente la disinformazione non è strettamente connessa alla tecnologia; basti pensare al caso della newsletter bimestrale degli anni ’50 e ’60 Tabacco e Salute del Tobacco Institute, in cui si faceva utilizzo di teorie non confermate sugli effetti benefici del tabacco per combattere il fatto che il fumo sia in realtà nocivo alla salute. La disinformazione è perciò connessa anche ad una condivisione selettiva, cioè di contenuti falsi utilizzati per raggiungere un determinato scopo.

Quello che possiamo fare, da singoli individui, è abbandonare il nostro ruolo di collaboratori involontari all’interno della grande macchina della cattiva informazione ed esercitare una maggiore riflessione nel momento in cui entriamo in contatto con un’informazione qualsiasi. Non sentiamoci più protetti di altri perché più istruiti, in quanto la disinformazione non ha un unico target di pubblico, ovvero quello sprovvisto di un’istruzione. Sviluppiamo un forte pensiero critico e interroghiamoci su quanto leggiamo o ascoltiamo. Consideriamo il fatto che la manipolazione di noi stessi proviene dalla comunità di individui con cui interagiamo ogni giorno.