35 millimetri

Il Colibrì apre la Festa del Cinema di Roma

di Alfonso Martino

Il film di Francesca Archibugi con il cast all stars Pierfrancesco Favino, Nanni Moretti, Kasia Smutniak e Laura Morante apre la kermesse romana

Pierfrancesco Favino e Berenice Bejo in una scena del film (radiosubasio.it)

Dal 13 al 23 Ottobre si svolge all’Auditorium Parco della Musica la 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si apre con il film di Francesca Archibugi Il Colibrì, adattamento dell’omonimo romanzo premio Strega di Sandro Veronesi.

La pellicola si apre con una sequenza che verrà ripetuta più volte durante il film e che lega come un filo — il termine non è casuale — il passato e il presente di Marco Carrera (Favino), un medico fiorentino la cui vita cambierà radicalmente durante l’adolescenza con un episodio che coinvolgerà la francese Luisa (Berenice Bejo), sua moglie Marina (Kasia Smutniak) e lo psicologo Daniele Carradori (Moretti).

Marco e Marina sono una coppia apparentemente felice ma piena di segreti (sentieriselvaggi.it)

La regia della Archibugi è pulita sia nelle transizioni tra passato e presente, sia nel rappresentare il mondo finto che costruisce il medico intorno a se, con inquadrature che riprendono pochi scenari ma essenziali ai fini della trama: la casa sul Tirreno della famiglia Carrera dove si compirà l’evento scatenante della vicenda, Firenze e Parigi.

Marco è il colibrì, una figura che concentra tutte le sue energie per restare in un unico posto: la spiaggia del Tirreno in cui una notte ha dovuto rinunciare all’amore della sua vita per un evento più grande di lui.

Fortunatamente la regista non emula lo stile mucciniano per portare sullo schermo questo dramma, mantenendo uno stile compassato e elegante che viene meno solamente nella sequenza in cui i genitori di Marco litigano ferocemente.

Il filo, come la sequenza iniziale, è ricorrente nel film e lega il protagonista con la figlia Adele (Benedetta Porcaroli) e con la sorella Irene durante i flashback. Il collegamento si manterrà fino alla fine pur con qualche scivolone — lo spiegone nel finale poteva essere evitato e rovina una bellissima sequenza — che non intralcia però il lavoro fatto sui personaggi, credibili anche nella loro versione anziana (il trucco su Favino è davvero realistico).

Il finale è struggente e mostra la maturità di Marco, il “basta lagne” che ripete alla nipote Mirai, in una scena in cui si ricongiunge con le persone a lui care e che rimanda allo storico finale de I Soprano.