Lo scenario

Contaminazione

Stanza sul mare, Edward Hopper (1951) – Yale University art Gallery

Valeria Coricciati

Vi immaginate di dover andare in giro con maschere con becco e lunghe vesti al fine di proteggervi dal coronavirus? Questi erano gli strumenti utilizzati come barriere durante la peste nera del 1300 e la grande peste del 1630. Le persone che combattevano in prima linea erano adornate con bizzarri costumi che potrebbero rievocare le maschere del grandioso carnevale di Venezia ma che, invece, risultavano necessarie per proteggersi dal possibile e reale pericolo di infettarsi. Avrete sicuramente visto la maschera di cui sto parlando: è caratterizzata da un lungo becco che veniva sfruttato per impedire che i dottori inalassero l’aria malsana mentre curavano i malati. Venne sfruttata tale forma allungata per dare maggiore libertà d’azione ai medici che potevano, quindi, muoversi liberamente senza il pericolo che gli ausili (erbe aromatiche, olii aromatici o ancora spugne imbevute di aceto) bloccati all’estremità della maschera si spostassero a destra e sinistra e ne rimanessero privi.  In aggiunta venivano utilizzati dei lunghi abiti che ricordano quelli dei monaci, resi impermeabili per mezzo di uno strato di cera che, come una barriera protettiva, si pensava potesse impedire alle particelle velenose di posarsi sugli abiti. Probabilmente fin qui per alcuni di voi non ho detto niente di nuovo ma il nuovo spetta a voi, a tutti noi. Avete mai riflettuto e osservato la situazione attuale con occhio critico? Vi siete mai ritenuti fortunati di vivere nell’epoca in cui siamo, nonostante le numerose difficoltà che sono sorte a causa di questo virus? Quanti di noi tendono a nascondere chi sono veramente con maschere che coprono la nostra vera natura, con schermi e tastiere usati troppo spesso come lance piuttosto che come scudi. Dovremmo invece mostrarci, ricavare una stanza tutta per noi, una stanza come quella che Virginia Woolf ritiene necessaria per darci la possibilità di creare, di dare spazio e aria alla nostra personalità e alle nostre potenzialità. Una stanza che sia priva di mura, che non spinga e acutisca l’isolamento e l’individualismo che attualmente sta raggiungendo livelli elevati ma che, al contrario, possa permettere di ritrovarci e contagiarci positivamente con idee, spunti, iniziative, pensieri. Una stanza in cui ognuno di noi possa andare alla ricerca del proprio io, possa capire la propria missione, possa comprendere ciò che è bene per sé e inseguirlo, impegnarsi per esso. Una stanza in cui ritirarci, metterci in piedi e dare volume alla nostra voce, dare vita a straordinarie novelle come “i ragazzi di Boccaccio” che scappati da Firenze si riuniscono al di fuori della città e sprigionano voglia di vivere e condividere. Una stanza svuotata dalla vana e dilagante lamentela da poter così riempire di colori, vivacità, speranza. Diamoci la possibilità di contaminarci positivamente, di avere una carica positiva che si propaghi non per abbattere ma per ergere.