di Antonio Stanca
Nella serie “I Grandi Tascabili Bompiani” è stato ripubblicato quest’anno West, il primo romanzo della scrittrice inglese Carys Davies. La traduzione è di Giovanna Granato.
Nata nel Galles e cresciuta nelle Midlands, la Davies ha lavorato per molti anni in America tra New York e Chicago. Ora vive in Inghilterra, a Lancaster. West risale al 2018 mentre il secondo romanzo, The mission house, è del 2020. Entrambi hanno avuto prestigiosi riconoscimenti e sono venuti dopo due raccolte di racconti che pure sono state ampiamente premiate. Anche saggi per riviste ha scritto la Davies e ha preso parte a giurie per l’assegnazione di premi letterari. Molto ha fatto, in molti sensi si è mossa, molto tradotte sono state le sue opere. West rimane, però, quella che più ha segnato la sua carriera di scrittrice, che più ha mostrato la sua capacità di muoversi tra realtà e fantasia, la sua lingua semplice, chiara, senza interruzioni.
Il romanzo, venuto dopo la fase dei racconti, vuole continuare la loro maniera, vuole mostrarla come propria della scrittrice, come la sua nota distintiva. È tutta la storia dell’America, tutta la sua epopea quella che la Davies fa rientrare nella narrazione del lunghissimo viaggio compiuto dal protagonista di West, Cy Bellmann. Andrà dal nord est americano al sud ovest, dalla Pennsylvania alle sterminate distese del West. Bellman, vedovo e con la figlia Bess di undici anni, vive in una fattoria al largo della città e alleva animali da tiro. Vicine sono le case della sorella Julie e dell’amico comune Elmer, che spesso lo aiuta nei suoi lavori. Ha saputo da un giornale che in certe zone del lontano West sono stati ritrovati i resti di giganteschi animali ed è stato preso dal desiderio di vederli, di verificare se di essi ci sono esempi viventi. Ha trentacinque anni e sempre è stato attirato dalle novità, dalle rivelazioni, dalle scoperte. Per questo era venuto dall’Inghilterra in America quando la moglie era ancora viva. Parte, quindi, alla volta del West con un cavallo, un giaccone, altri indumenti e scorte, un cappello, coperte, due fucili, qualche pentola, una bussola e quant’altro crede gli possa servire per il viaggio e le soste, il giorno e la notte. Affida Bess alle cure di Julie e questa incarica di provvedere anche alla fattoria servendosi dell’aiuto di Elmer. Alla piccola figlia, addolorata per la sua partenza, promette di tornare presto.
Dopo alcuni chilometri prende a servizio un ragazzo indiano che lo seguirà con un altro cavallo e svolgerà quanto richiesto dall’approvvigionamento dei cibi mediante la caccia e la pesca, dalla loro cottura, dalla raccolta della legna necessaria per il falò della sera che diventa il braciere della notte, dall’uso della piroga per attraversare i fiumi e dalle altre necessità proprie di un viaggio in terre sconosciute. Un viaggio lungo, molto lungo, si tratta di percorrere migliaia e migliaia di chilometri, di attraversare tutta l’America da Nord a Sud ma tale è lo spirito di avventura del Bellman, tale la sua volontà di conoscere, scoprire che da molto coraggio, da molta determinazione si sente animato. È un carattere che lo fa rientrare tra gli esempi dei famosi, primi esploratori americani, di quelli che hanno fatto parte della storia, delle leggende di quel continente, di quanto ha formato l’America. Tramite il viaggio di Bellman tra monti e fiumi, colline e pianure, boschi e paludi, cielo e terra, giorno e notte, freddo e caldo, la scrittrice recupera, riporta alla luce quel tipo di personaggio, vero e inventato, quel senso di ampiezza, di immensità che sono diventati propri dell’America fin dalle sue origini, che hanno distinto la sua gente, la sua vita.
Bellman, seguito dal ragazzo indiano, non smetterà mai di andare a piedi, a cavallo, di attraversare territori sterminati, disabitati, di sopportare privazioni, sacrifici, di continuare la sua ricerca. Unici incontri saranno quelli con indiani, ai quali darà qualche oggetto dei suoi per ottenere del cibo e chiederà dei grandi animali che cerca. Non avrà nessuna risposta. Allarmato, perso comincerà a sentirsi in quella vastità senza limiti, senza riferimenti, in quella natura selvaggia che prima aveva sfidato. Tre anni erano passati dalla partenza e la sua salute cominciava a indebolirsi, si ammalerà, morirà. Molto gli era mancato di riposo, di cibo, di sonno, di quiete, di casa: non aveva previsto che all’esterno, alle variazioni climatiche più diverse sarebbe stato esposto, che la fame, la sete avrebbe dovuto sopportare. Alle sue idee, alle sue aspirazioni, ai suoi sogni aveva sacrificato la sua vita e così altri americani prima di lui.
Neanche la piccola Bess era stata bene, aveva dovuto adattarsi a situazioni che non conosceva, che non la facevano sentire sicura, protetta e molto male le farà la notizia della morte del padre. Gliela porterà il piccolo indiano che era stato con lui e che le restituirà gli oggetti rimasti comprese le lettere che non le erano mai arrivate.
Anche di Bess ha scritto la Davies nel romanzo, insieme a quella del padre ha seguito la storia della figlia: in posti diversi, in modi diversi ha mostrato l’America. Tutta l’ha fatta vedere, quella disabitata e quella abitata, quella dei grandi, degli eroi e quella dei piccoli, quella immaginata e quella quotidiana, con l’America ha voluto che la sua opera s’identificasse, con tutta l’America. Tale è stato questo intento che da solo sembra abbia proceduto, si sia fatto il romanzo, scomparsa sembra la scrittrice dietro le sue righe.