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Dune: l’inizio di una nuova saga?

di Alfonso Martino

Tra le saghe cinematografiche/letterarie più amate dal grande pubblico rientrano Star Wars e Game of Thrones, che hanno portato alla ribalta i loro autori George Lucas e George R. Martin. Se le due opere hanno avuto questo enorme successo è anche merito della fonte d’ispirazione palesata da Lucas e Martin: Dune di Frank Herbert, saga fantascientifica di sei romanzi iniziata nel 1965 e conclusa vent’anni dopo.

Nell’opera di Herbert troviamo tutto ciò che ha caratterizzato la fantascienza come noi la conosciamo: un imperatore che gestisce il potere, gli intrighi politici che animano la vicenda e un universo dettagliatissimo, con i suoi usi e le sue credenze, legate a sottotesti che vanno dall’ambientalismo – cosa non scontata in quegli anni – alla religione fino al colonialismo.

Dal punto di vista cinematografico, registi come Lynch e Jodorowsky hanno provato a cimentarsi con il romanzo di Herbert, senza riuscire per diversi motivi a replicare sul grande schermo la grandezza dell’opera cartacea.

Quest’anno la Warner ha deciso di puntare forte su questa saga, dando un budget illimitato al regista canadese Dennis Villeneuve (Arrival, Blade Runner 2049) e un cast all star che comprende, tra gli altri, Timothée Chalamet, Zendaya, Oscar Isaac e Jason Momoa.

Il film, dalla durata importante di 2h 40, riprende la prima parte del primo libro di Dune, in cui viene raccontata la faida tra le famiglie Atraides e Harkonnen, dove la prima succederà alla seconda nel controllo del pianeta Dune/Arkassis, produttore di una spezia fondamentale per il commercio.

Villeneuve trasporta fin da subito lo spettatore in questo grande universo grazie a un world building che rende sia Caladan che Dune credibili e realistici, con le loro differenze strutturali: il primo, regno degli Atraides, è un pianeta ricco di acqua e rigoglioso, in linea con la fierezza del loro leader, il duca Leto (Oscar Isaac), mentre il secondo è caratterizzato da un sole sferzante e da un’immensa landa desertica, in cui viene immerso anche lo spettatore.

Protagonista della vicenda è il figlio di Leto, Paul (Chalamet), su cui grava l’onere di una profezia messianica e di cui assistiamo alla crescita e maturazione durante il film.

Da sinistra: Zendaya e Timothée Chalamat, interpretano rispettivamente Chani Kynes e Paul Atraides

La colonna sonora è invisibile e fondamentale allo stesso tempo, specialmente nelle sequenze ambientate a Dune, dove le percussioni incessanti replicano le vibrazioni del terreno che smuovono i padroni del deserto: i vermi, esseri che si estendono in grandezza e larghezza e che non danno scampo ai Fremen, gli abitanti del posto.

Il film ha i suoi difetti, come ad esempio lo scarso minutaggio riservato ai personaggi di Zendaya e Dave Bautista, i quali verranno sicuramente approfonditi nei film successivi, o le sequenze oniriche di Paul, utilizzati come teaser trailer per ciò che avverrà nei sequel, ma è un’esperienza visiva che va vissuta al cinema come nel caso di Mad Max: Fury Road del 2015 per essere apprezzata a pieno.