Noi siamo naufraghi

Foto di Annie Spratt su Unsplash

di Lucia Vitale

Naufraghi del ventunesimo secolo
Naufraghi del benessere
Naufraghi 2.0
Naufraghi che non naufragano
 
Naufraghi di sempre
Naufraghi che soffrono
Naufraghi che resistono
Naufraghi che ripartono

È a tutti noi che vorrei dedicare questo nuovo articolo di “Clinamen”. Miei cari lettori, oggi ho deciso di definirci così: NAUFRAGHI.

NOI SIAMO, però, dei naufraghi un po’ peculiari: “naufraghi che non naufragano” poiché, al contrario di quel Robinson Crusoe che naufragò per davvero su di un’isola e che dovette sopravvivere alla fame e alla sete, noi non ci siamo mossi dalle nostre case. Qui, la nostra priorità è sfamare l’anima (piuttosto che la pancia). Qui, il nostro scopo primario è affrontare la noia, la paura, il dolore.
NOI SIAMO i “naufraghi del ventunesimo secolo, naufraghi del benessere, naufraghi 2.0” ma anche i “naufraghi di sempre, naufraghi che soffrono”.

Lo stato attuale delle cose può sembrarci surreale poiché ci troviamo in una situazione che ha sconvolto la nostra routine quotidiana. C’è chi sta soffrendo ma, a questo proposito, vorrei anche ricordare che c’è chi soffriva già e continua a farlo per tante altre ragioni. Ovviamente, non vorrei mai sminuire i tragici avvenimenti di cui tutti siamo a conoscenza, ma vorrei anche invitare tutti coloro che paragonano il contesto dell’epidemia a quello della guerra ad utilizzare le parole con estrema consapevolezza.
Nel caso in cui non stiate adottando l’intero campo semantico relativo alla guerra in maniera del tutto metaforica, vorrei farvi leggere l’opinione a questo riguardo di Gino Strada, fondatore dell’associazione umanitaria Emergency. Egli, durante una delle puntate di Che tempo che fa, in onda tutte le domeniche su Rai 2, afferma:

“La guerra è un’altra cosa. Nella guerra non ci sono solo i morti per i bombardamenti. C’è la fame, c’è la mancanza d’acqua, c’è la mancanza di un tetto, c’è l’incertezza totale rispetto all’ora successiva. Fortunatamente la maggior parte di noi quest’incertezza non ce l’ha, il rischio ce l’abbiamo tutti ma insomma per molti direi che è un rischio estremamente basso.”

Ho steso i versi, con cui ho introdotto il mio articolo, proprio in occasione dell’uscita del nuovo numero della rivista.
(Tanto per sdrammatizzare) non avrei mai voluto metterli a confronto con quelli appartenenti ai grandi pilastri della letteratura italiana. Eppure destino ha voluto che la metafora del naufrago rievocasse in me l’ultimo verso di una delle liriche più celebri di tutti i tempi:

e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Attraverso l’aggettivo ‘dolce’, Giacomo Leopardi riesce a trasformare l’immagine negativa del naufragio conferendo un impatto positivo alla poesia.
L’Io lirico de L’Infinito cerca un modo per evadere dalla realtà e ci riesce attraverso l’uso dell’immaginazione. Guardare al di là di ciò che normalmente riuscirebbe a vedere lo fa approdare su “interminati spazi”, mentre ascoltare più di quanto solitamente riuscirebbe a sentire gli fa avvertire “sovrumani silenzi” e “profondissima quiete”.
Leopardi ci insegna con i suoi versi che l’immaginazione può salvarci in tutti quei momenti in cui vogliamo evadere dalla realtà. L’arte appare, dunque, come una delle vie possibili.

C’è, però, un altro personaggio, degno di far parte del vasto panorama della poesia italiana, che intraprende la via dell’arte pur restando ancorato alla realtà. A questo proposito, vorrei riproporvi un suo componimento scritto nel secolo delle due grandi guerre mondiali. Giuseppe Ungaretti, volontario e interventista durante il primo grande conflitto, scrive:

E subito riprende
Il viaggio
Come
Dopo il naufragio
Un superstite
Lupo di mare.

In questi versi, la figura del “superstite/ lupo di mare” incarna l’immagine del soldato che, sopravvissuto alla guerra, vuol riprendere la vita in mano. Ancora una volta, il naufragio acquisisce un’accezione positiva. Il titolo del componimento Allegria di naufragi fa ben pensare che il poeta si sia voluto ispirare a Leopardi. In Ungaretti, però, il naufragio non è un “dolce” punto di arrivo bensì il punto da cui ricominciare.

NOI SIAMO i “naufraghi che resistono, naufraghi che ripartono” poiché è ciò che la storia dell’umanità ci insegna. Gli individui di tutte le epoche storiche hanno vissuto esperienze negative, accomunati dal desiderio alla resistenza, quel desiderio che ci permette di ripartire scavalcando il muro delle avversità. Ciò che ci distingue, però, è la personalità. Ciascuno di noi è un essere singolare ed ha il proprio modo di affrontare le cose. Tutti, quindi, così come Leopardi ed Ungaretti, riusciremo a trovare quella maniera di far resistenza a ciò che la vita ci pone davanti.