di Pierluigi Finolezzi
Il nome Elizabeth è per gli inglesi sinonimo di garanzia politica ed istituzionale. Due sono state le sovrane che hanno regnato con tale nome ed entrambe hanno lasciato dietro di sé un’eredità indelebile non solo nella storia dell’Inghilterra, ma anche in quella dell’Europa e del mondo intero.
Se The Virgin Queen (Elisabetta I) è ricordata per aver gettato le basi alla successiva potenza marittima e commerciale britannica e per aver stimolato quella fioritura culturale e artistica del Paese dalla quale emersero Shakespeare, Marlowe, Jonson, Spencer e Bacon[1], The Queen (Elisabetta II) resterà impressa nella mente dei sudditi e dei contemporanei e nei libri di storia per aver segnato un’epoca con le sue tendenze, con il suo inesauribile senso del dovere verso il popolo e le istituzioni e soprattutto con la longevità del suo regno durato ben settant’anni. Se il regno di Elisabetta I è noto come “età elisabettiana”, non a torto si può considerare il regno di Elisabetta II come una “nuova era elisabettiana” o per usare le parole del primo ministro inglese Liz Truss[2] “second Elisabethan Age”[3]. La prima età elisabettiana fu un’epoca di espansione, di conquista, di dominio coloniale e di definizione identitaria; la seconda è stata contrassegnata da dei processi inversi che hanno condotto l’Inghilterra ad attraversare prima la decolonizzazione e poi i grandi cambiamenti della società contemporanea, nella quale Elisabetta II “si è sempre assicurata di rimanere un’icona”, un’immagine divenuta “la più rappresentata nella storia britannica”[4].
In un tempo storico dove l’istituzione monarchica può apparire ormai obsoleta, l’arte figurativa è diventata lo strumento nelle mani della corona per rinsaldare quel legame tra monarchia e popolo che ha reso Elisabetta II una figura tanto amata, facendola uscire dalle angustie delle residenze reali e restituendola alla quotidianità di una nazione multiculturale. L’arte, che un tempo rispondeva agli scopi propagandistici ed encomiastici delle teste coronate, è divenuta con Elisabetta II uno strumento con il quale rendere la monarchia un’istituzione del popolo, in grado di vivere non solo nella solennità dell’arte ufficiale, ma anche e soprattutto nelle produzioni della pop art e della street art.
Questa conclusione non esclude aprioristicamente che Elisabetta II e la Royal Family si siano private dell’arte celebrativa. Innanzitutto, si deve dire che The Queen è stata una sopraffina collezionista d’arte, capace di acquisire durante il suo regno circa 5.500 opere[5] che sono andate ad incrementare il fondo della Royal Collection che oggi vanta quasi un milione di pezzi[6]. L’approccio verso l’arte come produzione è stato, invece, del tutto diverso, dal momento che, contrariamente al consorte Filippo e al primogenito Carlo III, Elisabetta non si è mai dilettata a produrre qualcosa di personale, prediligendo maggiormente l’azione del raccogliere e del collezionare a quella del creare. Una forma d’arte, però, ha affascinato la sovrana sin da quando ancora non era predestinata al trono, il ritratto. L’interesse per questa tipologia di rappresentazione, rapportato alla lunga vita della regina, si concretizza in una vasta quantità di produzioni che hanno tenuto impegnati alcuni dei più importanti artisti contemporanei.
In ordine cronologico il primo ritratto noto di Elizabeth, nelle vesti di principessa, è quello realizzato ad acquarello da Philip de László nel 1933.
Un paesaggio appena accennato sulla destra fa da sfondo a una giovane Elisabetta che a sette anni posa per il pittore ungherese sfoggiando le sue ciocche dorate, arricciate in una tipica acconciatura degli inizi del XX secolo. La bambina siede su una poltroncina in legno, mentre indossa un abito bianco e tiene in mano un cesto di fiori colorati. Il sorriso appena accennato e la profondità dello sguardo donano al ritratto una forte espressività che esalta la fanciullezza e il temperamento della figlia dei duchi di York: Lilibet è una bambina come tante, ma dal comportamento responsabile e composto che – a detta di Churchill – le davano “un’aura di autorità e di riflessività sorprendente per un’infante”[7].
All’epoca del ritratto di László, Elisabetta era terza nella linea di successione del trono britannico, preceduta dallo zio Edoardo e dal padre Alberto. La successione di Lilibet era pertanto alquanto improbabile e tale lo era per la stessa principessa. Nel 1936 la morte di Giorgio V e il fidanzamento dello zio Edoardo – divenuto re con il nome di Edoardo VIII – con la divorziata Wallis Simpson provocarono una profonda crisi costituzionale innescata dalla firma dell’atto di abdicazione di Edoardo VIII in favore del fratello Alberto che venne incoronato re con il nome di Giorgio VI: Elisabetta divenne quindi a soli dieci anni la seconda in linea di successione al trono. Il ruolo pubblico di Elisabetta andò costituendosi, prima della maggiore età, negli anni della Seconda Guerra Mondiale: nel 1940 pronunciò il suo primo discorso radiofonico indirizzato ai bambini che come lei erano stati evacuati[8]; nel 1943 fece la sua prima apparizione da sola recandosi in visita alle Grenadier Guards; nel 1944 fu nominata dal Parlamento Consigliere di Stato con la possibilità di sostituire il padre in caso di incapacità o assenza; nel 1945 divenne meccanico, autista e comandante dell’Auxiliry Territorial Service; nel 1947 compì la sua prima visita ufficiale nel Commonwealth e in Sudafrica pronunciò il suo primo discorso all’Impero nel quale promise di dedicare la sua intera vita al servizio della nazione. Allo stesso anno (1947) risale il matrimonio con il principe Filippo al quale toccò il compito di comunicarle la morte del padre e di salutarla come nuova regina (1952)[9].
Del 1953 è il più antico ritratto istituzionale di Elisabetta, il primo nelle vesti di sovrana d’Inghilterra. A realizzarlo fu il fotografo e costumista britannico Cecil Beaton.
Ad una fotografia l’artista affida l’autorità, l’austerità e la regalità della monarca che posa tra le arcate gotiche dell’Abbazia di Westminster. Lo scatto, considerato tra i più iconici del XX secolo, ritrae Elisabetta II nelle vesti di rappresentante suprema del regno e dell’Impero britannico. A rimarcare la solennità del soggetto è soprattutto la simbologia degli oggetti che circondano la sovrana: la pesante corona imperiale sul capo; lo scettro nella mano destra; il globo in quella sinistra; il mantello di ermellino sulle spalle che si drappeggia verso il pavimento parallelamente alla lunga veste ricamata di fantasie dorate.
La crescita esponenziale del settore dell’immagine con la diffusione di nuove riviste e di nuove macchine fotografiche spinse la famiglia reale a consapevolizzarsi nell’uso dei più moderni mezzi di comunicazione di massa con la finalità di raggiungere quanto più possibile l’intera popolazione del Commonwealth. Se Beaton restituì un’immagine di Elisabetta come sovrana delle fiabe, altri come Dorothy Wilding contribuirono a lanciare questa stessa immagine a livello globale. Prima ancora di Beaton fu infatti Wilding ad eseguire per primo un ritratto fotografico ufficiale della regina.
In uno scatto del 1952 la nuova sovrana posa di profilo, accennando appena un sorriso ammiccante e malizioso teso a risaltare la sua giovinezza. Rilevante l’attenzione per i particolari: la corona sul capo, l’orecchino di perla che pende dal lobo dell’orecchio sinistro, la raffinata collana, le decorazioni sull’abito.
Gli anni iniziali del regno di Elisabetta II furono immortalati anche da un italiano. Alla metà del Novecento il milanese Pietro Annigoni era considerato uno tra i più importanti ritrattisti dell’epoca e per questo motivo fu chiamato a Buckingham Palace per ritrarre The Queen su commissione della Worshipful Company of Fishmongers[10]. Annigoni ed Elisabetta II si incontrarono per sedici sessioni di posa e il lungo tempo trascorso insieme consentì all’artista di cogliere molti particolari della sovrana che, a posteriori, fu ricordata soprattutto per la sua gentilezza e naturalezza e per l’amorevolezza provata verso il marito, la madre e la sorella che più volte ritornavano nella sua mente mentre dialogava con lui in un fluente francese[11]. Le “chiacchiere informali” – come le definì Annigoni – diedero vita a due dei più celebri ritratti della regina.
Nel primo, intitolato Regina Reggente o Elisabetta II d’Inghilterra (1955), la sovrana è raffigurata di tre quarti, a capo scoperto e con addosso l’ampio mantello blu scuro dell’Ordine della Giarrettiera. Sullo sfondo un paesaggio cupo e immaginario, che richiama i tanti ambienti esterni che Elisabetta descriveva all’artista durante le loro conversazioni, fa da cornice alla figura della regina che si presenta “sola e distante nonostante vivesse nel cuore di milioni di persone che l’amavano”[12]. Il secondo ritratto del 1969, commissionato dalla Trustees of the National Portrait Gallery, raffigura, invece, Elisabetta con indosso l’abito rosso dell’Ordine dell’Impero britannico. Per realizzarlo servirono ben diciotto sessioni di posa nelle quali Annigoni concepì un ritratto del tutto diverso dal primo: la figura della regina è molto più monumentale e austera e si scaglia con magnificenza sul primo piano della tela lasciando pochissimo spazio alle sue spalle per un paesaggio scarno e vuoto, a stenti accennato. Per questo secondo ritratto Annigoni aveva concepito l’idea di voler raffigurare a tutti gli effetti una monarca con tutti i sensi di responsabilità e di dovere che solo la regalità richiedeva.
In tempi più recenti un altro italiano si è distinto nella scultura rappresentativa di argomento elisabettiano. Nel 2018 Matt Marga ha svelato a Park Lane (Londra) One Million Queen con lo scopo di celebrare la vita e il senso del dovere di una delle figure più influenti della storia contemporanea.
Nella mente di Marga l’Head of Commonwealth altro non è se non la personificazione e incarnazione dell’unione delle nazioni. Nel capolavoro la figura di Elisabetta, ritratta di profilo, è illuminata da un milione di cristalli incastonati in un pannello di vetro insieme a 53 diamanti, rappresentanti le 53 nazioni del Commonwealth che riconoscono nel sovrano inglese il proprio Capo di Stato.
Altri ritratti degni di nota sono quelli eseguiti in concomitanza dei giubilei reali. Nel 2001 il nipote di Sigmund Freud, Lucien Freud, ha realizzato un controverso, piccolo ed espressivo dipinto ad olio che ha fortemente diviso l’opinione pubblica e la critica d’arte.
Fedele alla lezione psicoanalitica del suo antenato, Freud sembra scavare nell’anima della regina, della quale rappresenta solo il viso, le spalle ricoperte da uno sgargiante abito azzurro e la corona. Il ritratto, commissionato dalla stessa regina, appare provocatorio ed espressionista allo stesso tempo: Elisabetta sfoggia il suo aspetto più austero e pensoso, mettendo a nudo un animo gravido di ombre e increspature. Nonostante il susseguirsi di giudizi negativi da parte di chi vedeva nel soggetto di Freud “un’anziana signora di una casa di cura”[13] o un ritratto “doloroso, coraggioso, onesto, stoico e ben lungimirante”[14] o una rappresentazione di un “travestito”[15], Elisabetta apprezzò il lavoro a tal punto da inglobarlo nella sua raffinata e ricca Royal Collection. Alla cupezza del ritratto di Freud fa da contraltare l’eterea fotografia di Lightness of Being (2004) di Chris Levine.
In questo scatto la cupezza si squarcia per fare spazio ad uno dei più bei ritratti di Elisabetta, la cui origine – come dichiara l’artista – è stata del tutto casuale. Incaricato dal Jersey Heritage Trust di realizzare un ritratto della regina, Levine diede vita ad un “ritratto leggero” attraverso il solo sfruttamento delle potenzialità di un complesso sistema di telecamere a 360 gradi. Durante il servizio fotografico un blocco del sistema porta Levine ad invitare la regina ad un momento di rilassamento in attesa del ripristino dell’efficienza degli strumenti. È proprio nell’istante nel quale Sua Maestà chiude gli occhi e si rilassa le telecamere catturano la sua spontaneità e naturalezza. L’aspetto sereno ben si concilia con l’atmosfera onirica e quasi paradisiaca dello scatto dove il bianco e il nero si contrastano e si compensano nei diversi dettagli: la corona, la collana, gli orecchini di perle, la candida pelliccia, il maglione nero.
Solenne alla pari dello scatto di Beaton è la tela The Coronation Theatre di Ralph Heimans, realizzato per i settant’anni dall’incoronazione di Elisabetta.
L’artista australiano ritrae la regina nel luogo dove ricevette per la prima volta la corona, l’Abbazia di Westminster. La tela di grandi dimensioni ha molta cura dei particolari. La navata del luogo sacro è vuota al fine di risaltare non solo la complessità architettonica dello spazio interno ma soprattutto l’unico soggetto, The Queen, che avanza sul pavimento a mosaico sola e in silenzio, mentre un raggio di luce, penetrante da una vetrata non rappresentata, ne investe la figura lasciando alle sue spalle un’ombra distesa. Elisabetta, abbigliata con gli stessi abiti della cerimonia di incoronazione del 1953, è avvolta da un’aurea divina, quasi a sottolineare il suo diretto legame con Dio che le ha affidato la guida della Chiesa d’Inghilterra.
Meno idealizzati e maggiormente posati sono due degli ultimi ritratti di Elisabetta II.
Il primo, realizzato nel 2018 da Ben Sullivan, mostra la regina novantaduenne al castello di Windsor. Ad attirare l’attenzione di chi osserva il ritratto è il particolare della borsetta nera adagiata alla destra della sovrana che siede su una poltroncina dalle gambe e dai braccioli di oro. Dello stesso anno è il lavoro commissionato a Stuart Brown dal Reggimento RAF. L’atmosfera è sempre quella privata del castello di Windsor: Elisabetta siede alla sua scrivania con un’espressione serena e rilassata sfoggiando all’altezza della spalla sinistra la spilla omaggiatale proprio dalla Royal Air Force.
Tra pittura e fotografia, le rappresentazioni ufficiali di Elisabetta ammontano all’incirca a centocinquanta ritratti che purtroppo non è possibile passare tutti in rassegna in questa sede.
Almeno una menzione meritano il Portrait of Queen Elizabeth II realizzato nel 2012 da Peter Blake per Radio Times in concomitanza del giubileo di diamante; il solenne olio su tela Her Majesty Queen Elizabeth II at Buckingham Palace (1992) di Richard Stones; l’austero Ritratto della Regina Elisabetta per il Royal Hospital in Chelsea di Andrew Festing; il carboncino su carta Queen Elizabeth Aged 16 after Beaton (1997) di Elizabeth Peyton che, insieme all’acquarello di László, costituisce – seppur in maniera idealizzata – una delle principali testimonianze artistiche dell’adolescenza e della giovinezza di Lilibet.
[1] Cfr. C. ERICKSON, Elisabetta I. La Vergine Regina, traduzione di Cristina Saracchi, Collezione Le Scie, Milano, Mondadori, 1999, p. 41.
[2] G. BOWDEN – M. JACKSON – S. COUGHLAN, Queen Elizabeth II has died in BBC News, 8 settembre 2002, URL: https://www.bbc.com/news/uk-61585886.
[3] L’espressione di “Second Elisabethan Age” è stata già ampiamente adottata da storici, giornalisti ed esperti della corona britannica.
[4] Cfr. The Conversation, Elisabetta II: la fine della “nuova era elisabettiana” in L’Indro. L’approfondimento Quotidiano Indipendente, 9 settembre 2022, URL: https://lindro.it/elisabetta-ii-la-fine-della-nuova-era-elisabettiana/.
[5] R. GUILDING, La regina Elisabetta II diceva di non avere buon gusto, ma da che cosa era attratta, in Il giornale dell’arte, 9 settembre 2022, URL: https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/la-regina-elisabetta-ii-diceva-di-non-avere-buon-gusto-ma-da-che-cosa-era-attratta-/140255.html.
[6] ved. E. GRIPPA, La regina è un’opera d’arte: Elisabetta II musa degli artisti”, in LaRepubblica, 1° maggio 2022, URL: https://www.repubblica.it/moda-e-beauty/dossier/harry-e-.meghan/2020/05/01/news/regina_elisabetta_ii_ritratta_opere_arte_murales_royal_collection_banksy_andy_wharlol_chris_levine-291086952/.
[7] G. BRANDRETH, Philip and Elizabeth: Portrait of a Marriage, Londra, Century, 2004, pp. 105-110.
[8] Cfr. Archive: Children’s Hour: Princess Elizabeth, BBC, 13 ottobre 1940.
[9] G. BRANDRETH, Philip and Elizabeth: Portrait of a Marriage, cit., pp. 245-247.
[10] Sull’Annigoni ritrattista di Elisabetta, cfr. F. GIANNINI – I. BARATTA, Quando Pietro Annigoni dipinse il ritratto di Elisabetta II d’Inghilterra, in Finestre sull’arte. Arte antica e contemporanea, 8 settembre 2022, URL: https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/quando-pietro-annigoni-dipinse-la-regina-elisabetta-ii-d-inghilterra.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Così Januszczak, ved. Perché i ritratti della regina Elisabetta II sono spesso così brutti,in Finestre sull’arte. Arte antica e contemporanea, 5 giugno 2022.
[14] Così Richard Cork, ved. E. GRIPPA, La regina è un’opera d’arte: Elisabetta II musa degli artisti”, cit.
[15] Così The Sun, ved. S. GIRELLA – M- BELLISARIO, Il 21 aprile la regina Elisabetta compie 93 anni: tutte le volte che si è “trasformata” in un’opera d’arte, in IoDonna, 17 aprile 2019, URL: https://www.iodonna.it/personaggi/famiglie-reali/2019/04/17/il-21-aprile-la-regina-elisabetta-compie-93-anni-tutte-le-volte-che-si-e-trasformata-in-unopera-darte/.