Intervista a Francesca Diano

a cura di Renato De Capua

Come potremmo accedere al nostro patrimonio culturale, senza quei grandi Maestri del pensiero che ne hanno forgiato le basi?
A noi, umanità del presente, spetta il compito di sensibilizzarne la memoria attraverso lo studio e la divulgazione seria e attenta dell’attività di queste mirabili figure, che, proprio come astri lucenti, continuano a irradiare i nostri cammini di luce.

In virtù di questa linea di pensiero, che vuol porsi in affine continuità con un passato cui dobbiamo essere grati, “Clinamen-un passo oltre il confine” ha avuto l’onore di dialogare con Francesca Diano. Storica dell’arte, studiosa del folklore e della tradizione orale irlandese da circa trent’anni; traduttrice letteraria di Thomas Crofton Croker, di Alois Riegl, di James Harpur e Anita Nair, ha collaborato assiduamente con la rivista Padova e il suo territorio, organizzando convegni, mostre e concerti in collaborazione con l’Università di Padova.

Ha vinto il Premio Teramo e ha ricevuto una menzione speciale al premio Jole Santelli. Ha un suo blog, Il ramo di Corallo, spazio virtuoso che vi invitiamo a visionare, nel quale la studiosa propone al lettore testi letterari, saggi, esperienze tratte da un percorso di vita autentico, che dunque risulta inscindibile dal variegato itinerario di attività intraprese nel corso degli anni. Sua ultima preziosa pubblicazione è Fisiologia delle comete- poesie scelte 1972-1017 (Edizioni Beroe, 2023).

In quest’occasione d’incontro, però, abbiamo intervistato Francesca nelle vesti di figlia di Carlo Diano (Vibo Valentia 1902 – Padova 1974), insigne filosofo, filologo, grecista, papirologo, storico delle religioni, compositore originale di musica, artista. E per cercare di racchiudere il tutto, “maestro del pensiero occidentale”.

Francesca Diano, oltre alle attività e agli interessi poliedrici del proprio campo di studi e di ricerca, si è fatta portatrice di un grande atto d’amore nei confronti del padre e degli studi umanistici. Proprio lei stessa, infatti, è curatrice delle opere del grande studioso. È grazie al suo impegno che nel 2021, per BUR, esce una nuova edizione degli Scritti Morali di Epicuro a cura di Carlo Diano e nel 2022 il volume Opere di Carlo Diano (a cura di Francesca Diano e con contributi di Massimo Cacciari e Silvano Tagliagambe), che raccoglie per la prima volta tutte le opere teoriche del grande Maestro del pensiero occidentale contemporaneo.

Al lettore auguriamo di scoprire la complessità e la fondamentale importanza di Carlo Diano, cogliendo l’opportunità di incontrarlo attraverso le parole della figlia e il rigore denso di umanità dei suoi scritti.

Carlo Diano amava dire di sé “io non sono un italiano, sono un greco di Calabria”. Vuoi raccontarci il significato di questa definizione?

Mio padre era nato a Monteleone di Calabria, oggi Vibo Valentia, l’antica colonia greca di Hipponion, “gemmazione” di Locri Epizefiri. L’eredità, ma anche la dimensione magnogreca era ed è tutt’ora fortemente percepibile non solo nei ricchi resti archeologici, ma anche nella conformazione e nella spiritualità del paesaggio. Ed è nell’atmosfera, nei volti della gente, nella lingua, nelle tradizioni; come se, da ciò che resta delle antiche mura, delle antiche strutture, in quel che gli scavi archeologici hanno restituito, ci fosse qualcosa che fa vibrare l’aria e le anime di un’energia arcaica. Io credo che, con quell’espressione, mio padre intendesse che non percepiva alcuna distanza temporale o psicologica tra sé e quelli che sentiva come antichi padri.  

Carlo Diano

Sono certa che due furono gli elementi decisivi che lo condussero a questa particolare percezione di se stesso: il primo legato alla sua indole naturale, al suo atteggiamento verso il passato, che non sentiva affatto lontano o separato, ma parte integrante, costitutiva di sé; il secondo alla lunga consuetudine con Carlo Felice Crispo, un grande erudito, valente archeologo e storico di famiglia aristocratica, innamorato della sua terra e del suo passato, di circa vent’anni più grande. Esimio studioso – fornì grandi contributi agli studi archeologici dell’antica Hipponion – divenne per il giovane Carlo una guida e un Maestro e gli accese dentro l’amore per l’antica madrepatria, che sentivano comune. In quella sua frase, che potrebbe essere considerata un sigillo, c’è questa consapevolezza di appartenere a un tempo e a uno spazio in cui si riconosceva più che in qualunque altra dimensione dell’essere. In fondo considerava più contemporanei i suoi avi Greci che non quelli fra i quali era nato. È il motivo per cui ho sempre sostenuto che capisse l’animo e il pensiero greco in modo così totale: era e si sentiva uno di loro.   

Durante gli anni del suo insegnamento al liceo, tra la fine degli anni Venti e gli inizi degli Anni Trenta del secolo scorso, Diano si rifiutò di prestare giuramento di fedeltà al Partito Fascista. Quali furono il significato e il peso di questa scelta?

Una naturale disposizione dell’animo oltre che una scelta. La sua era una passione per la libertà, che lo portava ad essere intollerante a qualunque diktat, imposizione o  costrizione; un atteggiamento che caratterizzò ogni aspetto della sua vita, gli impedì sempre di aderire a qualunque forma di ideologia, poiché non sopportava chi imponesse cosa pensare, cosa dire, come agire e chi frequentare. Lo stesso atteggiamento che non gli fece mai amare – e anzi disprezzare – le ideologie e gli indottrinamenti di certi partiti, (già la parola partito gli faceva venire l’orticaria) ambigui nei confronti dei veri sfruttati, dei quali fingevano e fingono di rivendicare i diritti e proteggere gli interessi, con cui invece molti figli di papà fecero carriera. Altrettanto si dica per le mafie culturali e letterarie, per le camarille, le cricche, le affiliazioni ad “associazioni di fratellanza” et similia. Era uno spirito libero e tale fu anche nella sua ricerca e nei suoi studi.

Quando, comunque, negli anni ‘30, si ritrovò oggetto di inchieste disciplinari nel suo ruolo di docente che non aveva prestato giuramento di fedeltà e le cose iniziarono a farsi più difficili, ebbe la fortuna di avere al suo fianco Giovanni Gentile, il Maestro che tanto venerava e che fu per lui un vero padre.
Gentile lo aiutò a uscire dall’Italia grazie a un incarico come Lettore di Italiano  presso le università di Lund, di Uppsala, di Göteborg e di Copenaghen, e in questa sorta di esilio rimase per sei anni, nel corso dei quali apprese perfettamente lo svedese e il danese. C’è da dire però che, per quanto gli pesasse la lontananza dalla famiglia e dalla sua terra, il contatto con il mondo scandinavo, con la cultura e la grande tradizione liberale fu per lui un’esperienza di profonda trasformazione. Era la dimensione mediterranea, l’animo mediterraneo, che venivano in contatto con la realtà culturale e spirituale del grande Nord; la luce abbagliante e rivelatrice del Mezzogiorno con la lucentezza argentea e le delicate sfumature aurorali, le velature ghiacciate e segrete del più estremo Settentrione.

La sua fedeltà, come riconoscenza e devozione, la riservò tutta al Maestro, che lo aveva aiutato in un momento drammatico, così come aveva fatto per molti altri non allineati al Fascismo e, quando Gentile fu vilmente assassinato, mio padre ne fece una commemorazione pubblica, ignorando le minacce di morte che gli erano giunte. Il solo vincolo, morale e spirituale che mio padre sentiva, l’idea per cui era disposto a mettere in palio la vita, era quello dell’amore.

Diano ebbe sempre una posizione molto chiara su cosa fosse disposto o non fosse disposto ad accettare: nessun compromesso per interessi personali, nessuna svendita della propria figura di intellettuale che godeva di grande prestigio. E, se in vita, la sua posizione e la sua fama impedirono di danneggiarlo, dopo la sua morte quest’uomo così scomodo ha pagato con il progressivo oscuramento della sua figura e delle sue opere. Quest’insabbiamento non riuscì mai del tutto, ma in parte sì. Tuttavia ora chi aveva interesse a silenziare e porre in ombra la sua opera o non c’è più o ha meno forza ed è per me una gioia immensa vedere come si stia assistendo a una vera e propria riscoperta, vissuta da molti giovani con entusiasmo.

Uno dei nodi centrali del pensiero filosofico di Diano è la teorizzazione delle categorie fenomenologiche di forma ed evento. Esse, se da un lato sono desunte dalla sua analisi e profonda conoscenza del pensiero e del mondo greco, dall’altro ne sono la fondamentale chiave di lettura. Quanto fu importante questa teorizzazione nel suo lavoro di ricerca?

L’ultima frase della tua domanda punta il riflettore sull’aspetto centrale della sua opera di pensatore: il problema del metodo. Lasciamo che sia lui a spiegarcelo con le sue parole:

<<L’inizio della mia carriera universitaria ha coinciso per me con l’inizio di un nuovo ciclo d’indagini. Esso segue senza soluzione di continuità a quello precedentemente concluso con l’edizione dei testi etici di Epicuro. Giacché furono le ricerche da me allora condotte sul linguaggio di questo filosofo che mi portarono gradatamente ai problemi di materia e di metodo che oggi mi occupano. Per isolarne infatti nella loro storicità le forme più significative, io ero stato costretto a fare quasi per intero la storia non tanto della filosofia quanto della cultura greca, e a farla nell’ambito della semantica, per sezioni longitudinali, dal limitato angolo visuale delle questioni che i termini a volta a volta considerati mi ponevano. Tra questi il più ricco di presupposti nella costellazione dei suoi valori, e per le risonanze che esso aveva in tutte le sfere dell’esperienza, sia immediata che riflessa, mi si rivelò la tyche. Fu essa che mi permise d’intendere nell’unità della situazione la molteplicità degli aspetti dell’età ellenistica, essa mi diede il filo che mi rese possibile di ricostruire in modo ben più preciso di quello finora noto l’evoluzione del pensiero attico nel V secolo e d’isolare nel suo vero significato storico la figura di Anassagora, essa che mi aprì col problema religioso la via a chiarire sul piano di un’analisi strettamente strutturale il dualismo universalmente riconosciuto come caratteristico del mondo greco, e che nell’opposizione dei suoi termini fu la prima volta denunciato dal Nietzsche che l’identificò con l’opposizione tra «apollineo» e «dionisiaco». Fu così che nacque Forma ed Evento. Perché a un certo punto vidi che la tyche, nella proverbiale poikilia delle sue manifestazioni ed accezioni, non era un concetto, ma una categoria, e che lì era il principio che gli storici delle religioni avevano variamente e successivamente tentato di determinare da prima col feticismo, poi con l’animismo, poi col totemismo e con tutte queste cose insieme, e alla fine col concetto della «potenza» e del «mana», e lì anche il limite che travaglia tutta la storia del pensiero filosofico e della scienza, aprendole alla contraddizione dell’universalità logica, a cui la scienza è legata, e dell’individuale storico, che di continuo la trascende e la nega. E, come la scienza non c’è se non per la «forma» e l’individuale storico non è che l’«evento», se questo è una categoria, anche la forma va assunta come tale. E l’una e l’altra vanno prese come categorie fenomenologiche e non ontologiche, non cioè come forme « a priori» dell’«essere» o di quello che si chiama lo «spirito», che son cose che io come storico, e cioè come filologo, ignoro e debbo ignorare, ma come dei puri e semplici «generi»: i «generi supremi» sotto i quali rientrano e si ordinano gli elementi che l’analisi ci porta a separare e a distinguere nelle varie« espressioni» dell’uomo, quali esse «appaiono» e sono storicamente accertabili nei «monumenti» che ce le conservano. Categorie linguistiche dunque, prendendo lingua nella sua accezione più ampia e comprendendovi tutte le manifestazioni dell’attività umana, e quindi per eccellenza filologiche, di una filologia che si definisca non per la materia, perché non c’è materia che si sottragga alla filologia, né per i mezzi di cui si serve, perché i mezzi sono sempre richiesti dalla materia, ma per la forma che la costituisce a scienza e per il fine rispetto al quale quella forma si determina, e che è quello di accertare i fatti e di farne la morfologia.>>[1]

Che Carlo Diano sia stato soprattutto un filosofo, un pensatore originale, cui l’eccelsa attività di filologo, grecista, papirologo, filosofo dell’arte e storico delle religioni ha fornito gli strumenti, diciamo così, scientifici per fondare un suo sistema filosofico, è cosa ormai universalmente accettata. I due principi “per l’interpretazione del mondo greco”, come recita il sottotitolo di Forma ed evento, sono nati da una serie di problemi che gli si erano posti già tempo prima, e in particolare il problema della tyche, come sottolinea appunto. Le due categorie, come ben si può vedere nei mirabili Quaderni preparatori pubblicati nella sezione degli inediti, non nascono da questione astratte, ma molto concrete e gli si rivelano, a un certo punto, utili non solo all’analisi del mondo greco, ma a quella di tutte le culture e le civiltà umane. Non c’è ricerca senza un metodo e chi vi si accinge deve costruirsi, ove non ve ne siano di adatti, gli strumenti per farla in modo proficuo. Quanto ampio sia il campo di applicazione di queste due sue categorie, proprio perché fenomenologiche e non ontologiche, è ancora da esplorare.    

Nel febbraio del 2022 la casa editrice Bompiani ha pubblicato, nella prestigiosa collana “Il pensiero occidentale”, il volume Opere con contributi di Massimo Cacciari e Silvano Tagliagambe, che raccoglie le opere teoriche di Carlo Diano. L’intero progetto ha potuto prendere vita grazie alla tua cura editoriale. Che cosa ha significato per te compiere una vera e propria operazione filologica con gli scritti di tuo padre?

Carlo Diano, “Opere”, Bompiani

Si può solo immaginare cosa io abbia provato nel vedere finalmente ripubblicate le opere teoriche di mio padre, dopo che la maggior parte di esse era divenuta introvabile da molti anni. L’unica opera disponibile ancora in stampa era l’Eraclito pubblicato dalla Fondazione Lorenzo Valla e nel 1993 era stato ripubblicato Forma ed evento, ma in un’edizione che non mi convinceva e in cui non avevo avuto parte. Altre due opere, Il Simposio di Platone e gli Scritti morali di Epicuro, pubblicati postumi, erano ormai fuori stampa. Nessuno però, in tutto questo tempo, aveva ritenuto opportuno ripubblicarne l’opera in modo  più completo, soprattutto le due opere teoriche più famose. Nemmeno coloro che avrebbero dovuto farlo almeno come un gesto di riconoscenza, se non per amore del sapere.

Mio padre però diceva sempre: “Chi fa da sé fa per tre”, e aveva ragione. Così ho iniziato a impegnarmi più attivamente a partire dal 2000, e un primo frutto è stata la pubblicazione con Bollati Boringhieri de Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici, una splendida edizione con prefazione di Massimo Cacciari. Finalmente, dopo molti anni, Giovanni Reale espresse il desiderio di ripubblicare le opere proprio nella collana “Il pensiero occidentale”, solo che poi purtroppo venne a mancare, la casa editrice subì dei grandi cambiamenti e il progetto sembrava accantonato. Tuttavia nel 2018 tutto ripartì e finalmente vidi realizzato il mio grande desiderio. Che non era solo una questione di fondamentale importanza per la cultura italiana, ma era un vero e proprio atto di giustizia!

In realtà io non sono né una filologa, né una filosofa, né una grecista. Sono però sua figlia e ho in qualche modo assorbito il pensiero di mio padre per osmosi, poiché comunque l’ho sempre seguito e conosco le sue opere. Confesso che, quando Cacciari mi ha detto che mi sarei dovuta occupare in prima persona e da sola dell’intera pubblicazione, mi sono sentita quasi svenire!
Il mio ruolo è stato quello di raccogliere i testi, sia le pubblicazioni più note, sia quelli di più difficile reperibilità, compresi articoli ed estratti dispersi, gli inediti che mi è stato possibile trovare e organizzarli in ordine cronologico, in modo da offrire una panoramica completa del suo percorso teorico. Un’operazione del genere non era MAI stata fatta. Allo stesso tempo ho aggiunto brevi testi introduttivi dove ritenevo fossero necessari e note e ho fatto in modo che il taglio del volume fosse tale da confermare il valore filosofico, oltre che estremamente rivoluzionario, del pensiero di Diano. A parte questo, ho dovuto digitare personalmente tutte le oltre 2000 pagine dei testi, incluse le parti in greco, piuttosto estese…! Tra una cosa e l’altra, sono stati tre anni e mezzo di lavoro intensissimo, anche otto ore al giorno tutti i giorni.       

Ma, proprio questo lavoro umile, certosino, da amanuense, mi ha riservato le più grandi gioie e gratificazioni. Man mano che trascrivevo, rivedevo i momenti in cui stava lavorando a quell’opera, risentivo le sue parole, rivivevo il contesto, il momento, le emozioni e i periodi della vita in cui mio padre si stava occupando di questo. Mi sono commossa moltissimo, in certi momenti fino alle lacrime, soprattutto  quando mi trovavo con opere giovanili e lo rivedevo ragazzo, e pensavo che mai lui avrebbe potuto immaginare che cento anni dopo una sua figlia che ancora non sapeva avrebbe avuto, avrebbe sfiorato quelle pagine e le avrebbe trascritte con amore. Quello è stato il dono più prezioso e ho pensato che mi ha permesso di rendergli quanto mi ha dato; e questo mi ha resa adulta.

Secondo te quali letture o quali autori Diano avrebbe consigliato a un giovane che vuole intraprendere gli studia humanitatis?

Sicuramente Omero, Epicuro e Platone, oltre ai Tragici. Poi Plutarco e Lucrezio. Per quelli che ci sono più vicini, le opere di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Mircea Eliade, di Kérenyi, di Simone Weil, e poi i poeti, Leopardi, Keats, Hölderlin, Baudelaire ecc. Ma in realtà così tanto altro; il fatto è che senza l’apporto della voce dei grandi, la nostra ha meno forza e meno originalità.  

Epicuro, “Scritti morali”, introduzione e traduzione di Carlo Diano, edizione a cura di Francesca Diano, BUR

Recentemente sei entrata in possesso di un ricchissimo epistolario, nel quale sono presenti moltissime lettere tra tuo padre e grandi nomi della cultura, che insieme a lui hanno posto le basi degli studi classici nel mondo occidentale. Quale progetto è stato intrapreso per poterlo rendere fruibile?

Il preziosissimo Archivio di mio padre, composto appunto da questo incredibile epistolario, ma anche da numerosi inediti, appunti, documenti, mi era stato purtroppo e follemente reso inaccessibile, pur appartenendomi in quanto legittima erede. È stato per troppo tempo lasciato in mani del tutto inaffidabili e qualcuno ne ha approfittato. Nell’intervallo di tempo in cui non ho potuto avere controllo sull’archivio, dal ricchissimo epistolario, sono state fatte sparire in blocco tutte le lettere che Giovanni Gentile gli aveva inviato. È chiaro che questo corpus di lettere non solo è una testimonianza di incalcolabile valore culturale per l’Italia, ma lo è anche da un punto di vista storico e umano. Faccio dunque un appello a chi, o per un motivo o per un altro, è al momento in possesso di questo corpus di lettere che nessuno può comunque utilizzare o pubblicare. Facendo appello alla sua coscienza, mi auguro che me lo restituisca, compiendo così un atto di giustizia dovuto sia a Giovanni Gentile che a mio padre e alla cultura italiana.

Finalmente però l’archivio, a parte questo corpus, è tornato a me, in modo che io possa preservarlo, conservarlo e proteggerlo, così da poterlo mettere a disposizione degli studiosi.
Ne ho fatto perciò donazione all’Università di Padova che, come istituzione secolare e luogo dove ha svolto il suo magistero, mi è parsa la sede più adatta. A differenza di molti eredi che vendono archivi e biblioteche, io ho voluto donare, perché un’eredità spirituale non si vende. Ovviamente sto però già lavorando a dei progetti di grande interesse. 

C’è un’immagine di tuo padre che ti è particolarmente cara e che descrive quel grande senso di humanitas che permea ogni suo scritto?

Ce ne sono molte, ma quella che mi è più cara è quando, pur sulla soglia della morte, fece in tempo a vedere il suo primo nipotino, mio figlio Carlo. Si commosse quando gli dicemmo che l’avremmo chiamato come lui, ed era terribilmente orgoglioso di questo nipote. Lo trovavo spesso che, senza farsi vedere, andava a coccolarlo nella culla. Mio padre era un uomo capace di incredibili tenerezze.


[1]Carlo Diano, Opere, a cura di Francesca Diano, Bompiani 2022, pp. 33-34.