Intervista ad Antonello Loreto

a cura di Lorenzo Di Lauro

Una nuova esclusiva di Clinamen è l’intervista allo scrittore Antonello Loreto, da anni attivo esclusivamente nella scrittura dopo un pezzo di vita trascorso nel mondo del marketing. Ha esordito nel 2014 con La favola di Syd, al quale poi sono seguiti i romanzi Un’altra sceltaRegina blues e La libertà macchia il cappotto. Ha diretto la collana di narrativa Geyser per Edizioni Progetto Cultura, dedicata ad autori emergenti. 

1) Quando hai maturato la scelta di dedicarti completamente alla scrittura?

L’ho maturata verso la fine del 2013, quando la mia carriera precedente aveva subito una battuta d’arresto per gli effetti della crisi. Avevo rapporti economici insoddisfacenti per la società con cui lavoravo, e avevo paradossalmente più tempo libero a disposizione. Ho così cominciato a sviluppare l’idea che avevo in mente da tempo, da cui poi è nata La favola di Syd. Non avevo alcuna ambizione di dedicarmi pienamente alla scrittura, e infatti è stata una pubblicazione self publishing. Poi, grazie anche al passaparola, il libro è riuscito a vendere parecchio sulla piattaforma. Un piccolo sogno è dunque diventato realtà, così ho deciso di fare la scelta conseguente: dedicarmi al nuovo mondo.

2) Cosa ti ha conquistato della narrativa, vero e proprio caposaldo della tua produzione?

È stata una scelta quasi scontata. Non ho alcuna competenza nell’ambito saggistico o su un tema specifico per potermi misurare. Ritengo di avere una discreta immaginazione e di essere abbastanza capace nel costruire storie e personaggi. La narrativa a quel punto diviene una sorta di sfogo naturale. Erri De Luca sostiene che un grande scrittore deve anche essere un grande lettore. Io ho sempre letto tantissimo fin da bambino, in perfetta continuità con la mia famiglia, e soprattutto narrativa, quindi credo che sia principalmente quello il motivo per cui mi è venuto naturale. 

3) La favola di Syd è stato il tuo esordio letterario, un vero e proprio omaggio già dal titolo a una figura spesso poco ricordata come Syd Barrett. Puoi parlarci un po’ di questo tuo primo lavoro?

Ho un rapporto molto strano con La favola di Syd, un po’ come capita a qualsiasi autore con il proprio romanzo di esordio. A questo libro devo il mio cambiamento rispetto alla vita precedente: è il primogenito di quattro figli. È un po’ un rapporto di amore-odio: nonostante l’idea sia buona, subisce le difficoltà di un’opera prima, seguita, per ovvi motivi, quasi esclusivamente dall’autore, senza nessuna figura di editing professionale alle spalle e di una casa editrice che accompagni il percorso dell’autore. Quando rileggo questo libro quasi mi innervosisco a vedere un lavoro così artigianale, con molti abbozzi, refusi, imprecisioni di carattere narrativo, infatti ho deciso di riscriverlo. Ad ogni modo gli si vuole bene come un figlio maggiore, ed è stato il motivo per cui poi ho continuato verso questa strada.

4) Regina Blues e l’ultimo libro, La libertà macchia il cappotto, ti hanno permesso di toccare da vicino alcuni aspetti della tua vita e del territorio in cui sei cresciuto. C’è un filo conduttore tra questi due romanzi?

Direi che soprattutto Regina Blues tratta di un tema legato al territorio in cui sono cresciuto. La libertà macchia il cappotto invece, soprattutto nella seconda parte, è ambientata in un territorio a me caro come il Trentino, dove sono stato diverse volte, ma che però non è legato alla mia adolescenza. Sempre Erri De Luca, con il quale ho avuto modo di interloquire alcuni anni fa durante una presentazione a Madonna di Campiglio, ha usato una frase che mi è rimasta ben impressa. Quando gli dissi che il mio nuovo libro avrebbe riguardato temi adolescenziali, mi disse che l’adolescenza è una fase gigantesca della vita, perché è la fase in cui ogni persona è aperta a qualunque opportunità. A me questa fase è rimasta impressa perché l’adolescenza si ricollega al mondo dei sogni, a quello che vorremmo fare. È anche il motivo per il quale in mezzo a tante brutture una persona sceglie di trattare di tematiche adolescenziali come se fosse una sorta di salvacondotto dalla vita abitudinaria e pesante di ogni giorno, e ti aiuti attraverso sogni e speranze degli adolescenti a volare via insieme a loro.

5) L’influenza del cinema e della musica sono molto forti nei tuoi libri. Ritieni che siano un elemento imprescindibile per chi oggi si occupa di letteratura? Quali sono i tuoi punti di riferimento principali?

Non credo che siano un elemento imprescindibile per chiunque si occupi di letteratura, perché si tratta solo di riempitivi rispetto alla vera regina, che è la parola. Fanno parte, per quanto mi riguarda, del bagaglio di formazione, che è imprescindibile per qualsiasi autore, soprattutto per chi si occupa di storie di carattere intimista, e quindi il riferimento autobiografico è sempre dietro l’angolo. Nella mia adolescenza ho mangiato molto pane e libri, ma allo stesso tempo anche musica e cinema. Le mie prime esperienze di penna sono strettamente legate all’ambito cinematografico, avendo scritto articoli di giornale per un magazine di un istituto cinematografico all’Aquila. È inevitabile che queste influenze si riflettano su quello che scrivi, che affollino le tue pagine. Nel mio caso sì, sono un elemento imprescindibile. I miei punti di riferimento su musica e cinema sono principalmente i Pink Floyd e Kubrick, ma farei torto ad almeno 1500 artisti per ciascuna categoria. 

6) I temi affrontati nei tuoi romanzi riguardano un po’ la contemporaneità e le sue problematiche? Ci sono (anche velati) riferimenti legati alla società che viviamo, alla politica e alle sue contraddizioni?

In maniera non troppo approfondita o specifica, si potrebbe dire di sì. Quando fai riferimento a ragazzi, a problematiche, a scelte tragiche, comunque la contemporaneità assieme alle sue problematiche si presenta. Li ho affrontati in modo superficiale perché più interessato ad affrontare i ritratti psicologici dei personaggi. Ho comunque affrontato argomenti come la violenza domestica, la malattia psichiatrica, l’omosessualità, la bisessualità. Ovviamente si tratta di tematiche enormi: il mio cruccio è di averli trattati sempre in modo laterale rispetto agli argomenti su cui mi sono preferito soffermare. Nell’ultimo romanzo tratto una fase delicata come il passaggio tra adolescenza e maturità, che si portano dietro una serie di problematiche. Si tratta di rappresentare un ragazzo di 18 anni che si trova ad affrontare il mondo. Se vogliamo, è tutto legato alla società in cui viviamo. 

7) Da poco collabori con una casa editrice molto attiva come la All Around, e ti sei occupato di dirigere la collana Geyser per Progetto Cultura. Che soddisfazioni ti hanno dato queste collaborazioni e quali sono a questo punto gli obiettivi futuri?

All Around è una giovane e ambiziosa casa editrice, che si è ripromessa di rappresentare con il proprio marchio i giornalisti italiani e la loro produzione. La libertà macchia il cappotto è stato il primo lavoro con loro. Su Geyser posso dire che è stata una grande soddisfazione dirigere questa collana per Progetto Cultura. Sono quelle esperienze che nel mondo della penna lasciano un segno indelebile, e nel mio caso sono tasselli che mi hanno permesso di avvicinarmi in modo netto a questo mondo del quale non conoscevo tantissimo, e di cui è probabile non conosca ancora abbastanza. Ovviamente tra i miei obiettivi futuri c’è la volontà di continuare a scrivere e di crescere ancora in questo percorso. È il motivo per il quale ho fatto questa scelta di vita: la passione, una passione che mi riempie la vita. La speranza è di continuare a fare qualcosa che mi soddisfi, ma la vita è strana e varia, per cui sugli obiettivi futuri non mi sbilancio. Vorrei migliorare la tecnica di scrittura per maturare sempre di più in questo settore.