Storia di un’archeologa e del suo sogno

di Roberta Giannì

Aglaia Margani vive a Roma. Lei è un’archeologa-combattente e Clinamen l’ha intervistata per aiutarla a trasmettere l’importanza dell’Archeologia nella nostra società e del diritto che ognuno di noi ha di realizzare i propri sogni.

Dunque Aglaia, il sogno dell’Archeologia.  È un sogno che hai da molto piccola…

Sì! Diciamo che per me tutto inizia da quando avevo tra i 6 ed i 7 anni. Ricordo che con i miei genitori andavamo spesso in spiaggia e a me piaceva tantissimo raccogliere i sassi ed i ciottolini che trovavo tra la sabbia. Tenendoli tra le mani ricordo che mi interrogavo su quale potesse essere la loro storia, da dove venissero, quale fosse la loro origine. Queste erano le stesse domande che mia madre ogni giorno si sentiva ripetere, chiedendosi che tipo di origine volessi comprendere. Poi la rivelazione dell’Archeologia! Ricordo che sin da giovanissima avevo le idee ben chiare, a 15 anni già pensavo di metter su, una volta finiti gli studi, un’associazione che si sarebbe occupata di interventi di carattere archeologico a scopo conservativo. Così, alla fine, la risposta alle mie domande divenne l’Archeologia, una disciplina che in fondo era già presente nella mia famiglia e che penso di aver ereditato. Per me l’Archeologia non è mai stata Indiana Jones o Lara Croft: è stata sempre e solo voglia di esplorare e sentirne il piacere, voglia di raggiungere una concretezza nel mestiere che avevo scelto di fare; dunque nulla a che vedere con le avventure di Indiana o di Lara!

Aglaia Margani

È rimasto solo un sogno?

Ovviamente no. Ci sto provando ed infatti oggi sono laureata, con una specializzazione in Archeologia Classica conseguita a Matera. Se dovessi scegliere qualcosa che dell’Archeologia mi appassiona particolarmente, direi che è il concetto di commistione culturale e scambio tra popoli italici e Roma in Italia meridionale. Nel corso della mia carriera ho continuato a realizzare il mio sogno partecipando a molte campagne di scavo, per esempio quelle al Tempio di Vesta, sul Palatino, oppure in Inghilterra, dove mi sono interfacciata con l’approccio inglese con l’antichità. Grazie a questa esperienza nel particolare, ho potuto operare dei confronti tra l’antichità italiana e quella inglese, notando numerose differenze soprattutto nell’epoca romana che per gli inglesi ha cultura materiale e cronologia molto diverse dalle nostre. Nello scavo le principali mansioni da me svolte riguardavano lo scavo stratigrafico e la documentazione. Ultimamente ho avviato una collaborazione con la Soprintendenza Capitolina per lo studio di reperti ceramici di Largo Argentina, a Roma, per i quali speriamo presto di avere del materiale scritto e pubblicato da poter condividere con la comunità scientifica (e non).

Nel tuo articolo hai parlato di “passione dannata”: pensi che la considerazione italiana per la cultura e per la sua conservazione e promozione  rimarrà sempre uguale o prevedi un qualche cambiamento di carattere positivo in futuro?

Come ben sai, di recente la legge italiana ha riconosciuto la nostra professione; dunque, essa esiste a livello normativo e possiamo dire di avere avuto effettivamente un cambiamento positivo. L’archeologo diviene una figura importante nella progettazione di nuove opere o di quelle in corso, è come un facilitatore di servizi che allo stesso tempo salvaguarda il bene culturale a cui va incontro. Roma ad esempio, è una città che non permette l’avvio di uno scavo di qualsiasi tipo a meno che non si disponga di un archeologo sul cantiere. Occorrerebbe tuttavia maggiore informazione: anzitutto per la gente che non bene riesce a comprendere l’importanza del mestiere o le caratteristiche del mestiere stesso; è successo che qualcuno mi urlasse, mentre ero al lavoro, che in quel momento ero d’intralcio ai lavori degli operai. Poi anche per noi archeologi stessi. Mi duole dover dire che molti di noi, conclusi gli studi, sono completamente allo sbaraglio. Non sappiamo da che parte incominciare, non sappiamo come approcciarci alla professione e spesso e volentieri finiamo per svolgere mansioni che ci portano a perdere la nostra dignità, pur di guadagnare qualche spicciolo e vantarci di averlo fatto da archeologo. E poi siamo costantemente a lamentarci del fatto che la professione non prevede grandi guadagni. Il problema è che non sappiamo di danneggiare, in questo modo, tutta la categoria. Di una cosa sono soddisfatta però, e anche questo è secondo me un cambiamento positivo: le committenze, col tempo, forse hanno capito che per svolgere al meglio il lavoro servono dei lavoratori soddisfatti e specializzati nel proprio campo, e come tale devono avere un trattamento economico e professionale dignitoso. Con questo voglio dire che esse hanno pian piano iniziato ad accorgersi dell’effettiva importanza della figura di un archeologo all’interno di un contesto di lavoro di qualsiasi genere. C’è l’ingegnere, c’è l’operaio, c’è l’archeologo. ITALGAS, per conto della quale svolgo il mio lavoro di assistenza archeologica in corso d’opera, è una di queste, una buona interlocutrice degli archeologi negli anni. Col tempo, ha imparato ad apprezzare il mio ruolo e quello dei miei colleghi in cantiere, anche e soprattutto nei casi di ritrovamento archeologico, dove la collaborazione tra committenza e direzione dei lavori, soprintendenza ed archeologo responsabile  è fondamentale per conservare al meglio e anzi valorizzare quanto ritrovato. Con ITALGAS lo stiamo facendo in maniera sempre più efficace.

Pensi che esistano situazioni in cui la nostra passione debba essere messa da parte?

A volte sì. Negli scavi d’emergenza ad esempio non è detto che dal terreno escano reperti archeologici e spesso capita che in alcune giornate ci si senta inutili. Tuttavia si è li per lavorare, e anche non trovare nulla fa parte del lavoro dell’archeologo; in quel caso bisogna semplicemente armarsi di pazienza.

Qual è la cosa che ti ha delusa o continua a deluderti di più?

La mancanza di una stabilità. La condizione dell’archeologo si basa sulla precarietà e non si può far altro che mantenere vivi i contatti che ci si riesce a procurare con le varie esperienze. Per il resto, non si può purtroppo mai sapere come può andare a finire.

Cosa diresti ad un bambino che ti racconta di avere anche lui il sogno di diventare archeologo?

Gli direi che sta facendo la scelta giusta perché il mondo ha bisogno di lui. Viviamo in un’era in cui le informazioni che vengono condivise giornalmente non sempre sono attendibili. Tutti sanno di tutto, dunque tutti affermano di saperne di medicina, geografia, matematica… di archeologia. Eppure non è così. La gente non sempre conosce la realtà e ritorno nuovamente all’episodio in cui mi venne detto che intralciavo i lavori: chi me lo diceva non aveva la più pallida idea di quali mansioni si caratterizza il lavoro di un archeologo. Perciò, ai bambini che sognano di diventare archeologi dico di non nascondersi, di farsi avanti per cambiare l’immaginario comune riguardo l’Archeologia in quanto lavoro inutile, di far si che il patrimonio storico-archeologico italiano abbia la degna memoria del suo antico splendore.