di Lorenzo Di Lauro
Io e Dio è un film strettamente connesso per temi, ambientazioni e crudezza al Meridione. Girato nel 1970, costituisce l’opera prima di Pasquale Squitieri, inserendosi nel filone del neorealismo. Non si conosce moltissimo sulla lavorazione di questo film: la maggior parte delle nozioni le apprendiamo grazie ad interviste rilasciate dal regista, venuto a mancare qualche anno fa, e alle ricerche del critico cinematografico Costanzo Antermite.
Pasquale Squitieri, che non aveva ancora diretto lungometraggi, aveva seguito molto da vicino il mondo del teatro e aveva come consulente primario un’importante figura culturale del tempo, Cesare Zavattini. Proprio a lui, massimo esponente del neorealismo italiano, sottopone il primo copione del film. Dopo Zavattini il copione fu proposto ad una delle figure più importanti di sempre del cinema italiano, Vittorio De Sica, che rimase interessato dal progetto. Decise di firmare la produzione del film, affidando le musiche al figlio Manuel, che per la colonna sonora si avvalse della collaborazione dei Cantori Moderni, tra cui Alessandro Alessandroni, il celebre fischiatore di Per un pugno di dollari.
Tra i brani scelti figura anche il famoso Te Deum, che in apertura di film presuppone un contesto prettamente religioso: la religione prende il sopravvento su ogni contesto della vita reale, venendo rappresentata in modo simile alla superstizione, che dunque fa leva sui creduloni. A rappresentarla è Don Paolo, un prete che si innamora, ricambiato, della figlia di Giacomo, un ricco proprietario terriero, e che si ritrova inevitabilmente a fare i conti con i vincoli del celibato ecclesiastico.
Il soggetto di Io e Dio è ispirato ad un contesto prettamente rurale: non è definito il luogo esatto, né tanto meno il periodo storico, ma questi fattori sono di secondaria importanza. Il film denuncia la società rurale che si erge a protagonista ancor più degli attori. È questo senso di mediocrità che prevale in una società nella quale si assisteva ad esorcismi, violenza becera dei proprietari terrieri e le donne erano ancora relegate ad un ruolo marginale.
L’attore designato per la parte principale è il venezuelano Josè Torres, molto popolare in quegli anni per la sua partecipazione come comprimario negli spaghetti western, e caratterizzato nel doppiaggio da un poco conosciuto Ferruccio Amendola. Il resto del cast è composto in prevalenza da caratteristi meridionali: dal calabrese Salvatore Puntillo, nei panni di Giacomo, al siciliano Salvatore Billa, attore prediletto del regista, che interpreta il brigante Giuseppe.
L’obiettivo di Squitieri sembra dunque essere quello di conferire alla storia l’idea di un meridione arretrato, e la sua ricerca, oltre alla scelta del cast, lo portò a girare il film interamente in Puglia. Oggi il tacco dello stivale italiano è un set frequente per fiction o produzioni cinematografiche, ma allora i racconti dei registi neorealisti privilegiarono soprattutto altre aree del Meridione. De Sica stesso ha raccontato la Ciociaria, Visconti si è ben destreggiato tra la Lucania di Rocco e i suoi Fratelli e la Sicilia del Gattopardo, Rosi ha privilegiato la Campania in Le mani sulla città. Tanti registi hanno raccontato il Sud nelle sue sfaccettature, ma pochi hanno rappresentato la Puglia del tempo.
Il canto Rutulì – Rutulà mormorato all’inizio del film appartiene prettamente alla tradizione di Manduria, cittadina spartiacque tra le province di Brindisi, Taranto e Lecce, e al repertorio musicale dell’attore e cantante Tony Dimitri. A Manduria e zone limitrofe inoltre appartengono la maggior parte delle location del film, tra cui il Castello e, secondo alcune fonti, la Chiesa consacrata di Santo Stefano. La presenza manduriana è ulteriormente confermata nel cast dalla presenza di alcune comparse, tra cui l’ingegnere Gregorio Di Lauro, che curiosamente interpreta la parte di sé stesso alle prese con un appuntamento con il vescovo locale, a sua volta interpretato da Salvatore Gemma, allora proprietario di un hotel a Campomarino di Maruggio. E proprio tra le campagne di Maruggio alcune scene sarebbero state girate sul Monte Maciulo, una località vicina alla Masseria le Fabbriche, mentre altre ancora sono riconducibili ad aree rurali della provincia di Foggia. Una scena che simboleggia molto la vicinanza con questi territori è quella della vendemmia all’inizio del film, alla quale partecipa anche Don Paolo e che riconduce subito all’idea del Primitivo, eccellenza legata al territorio manduriano.
La dimensione religiosa viene privilegiata non solo attraverso la figura del protagonista, non solo dal titolo del film, non solo dalla scelta della colonna sonora, ma anche con un vero e proprio atto di esorcismo compiuto nel fim. Infatti vi era, soprattutto in passato, la credenza tra i credenti che un prete che si macchiava di peccato fosse il demonio camuffato. Per questo motivo nella seconda parte del film avviene la movimentata caccia a Don Paolo, accusato di aver violato il celibato ecclesiastico, e subentra la figura di una fattucchiera, assunta per scacciare il presunto maleficio. Attraverso la rappresentazione di personaggi privi di empatia traspare la denuncia da parte del regista di un’arretratezza culturale che ancora oggi ha lasciato ampi strascichi in quei territori.
Nella scena finale Giuseppe, che aveva avuto anch’egli contrasti con Giacomo, si ritrova con Don Paolo sulla collina dove avviene l’inseguimento da parte degli abitanti del paese. Quando l’amico e l’amata Anna, con cui il prete aveva avuto un momento d’idillio, trova la morte, in lui avviene a tutti gli effetti l’incarnazione del demonio. Così afferra una mitragliatrice che Giuseppe aveva con sé e, barricato tra i cespugli, comincia a sparare all’impazzata contro gli inseguitori. Questa scena costituisce di fatto un momento di recisione netta rispetto al passato. Don Paolo ha definitivamente oltrepassato la barricata, e poco importa se non sappiamo nulla di quello che sarà il suo destino, perché il senso del film si è ugualmente realizzato .
Io e Dio può dunque essere considerata una storia semplice ma utile a mettere in risalto le storture della società contadina del tempo: arretratezza culturale, superstizione, misoginia, e nella quale, oltre alla componente religiosa, subentra anche il tema politico. La prepotenza dei proprietari terrieri, lo stato di indigenza dei lavoratori, il ruolo ampiamente discusso della religione nella società odierna forniscono uno specchio lampante di una realtà non così distante da quella attuale.