Di Stefania Errico
La notte tra il 25 e 26 marzo scorso, in molti paesi è entrata in vigore l’ora legale al posto di quella solare. Un processo automatico dettato da una convenzione stabilita nel 1916 durante la Grande Guerra, che implicava lo spostamento delle lancette un’ora in avanti durante l’estate per necessità legate al risparmio energetico, sfruttando maggiormente la luce del sole.
Nonostante questa decisione (presa cent’anni fa) porti i nostri dispositivi elettronici ad aggiornarsi automaticamente ogni primavera, quest’anno non è andata secondo i piani. Infatti, dall’altra parte del Mar Mediterraneo, in Libano, quello che sembrava essere un procedimento meccanico, ha portato per la prima volta nella storia alla creazione di due realtà parallele che hanno permesso alla popolazione locale di viaggiare nel tempo, ondeggiando tra un prima e dopo secondo confini labili e arbitrari.
La “Svizzera d’Oriente” si è svegliata con un comunicato del governo che chiedeva alla popolazione di far finta che l’ora non fosse stata modificata: i telefoni segnavano il nuovo orario, ma le lancette dell’orologio di Place de l’Étoile (centro nevralgico di Beirut nonché sede del Parlamento libanese) indicavano imperterrite quello solare.
Ma perché prendere una decisione simile? Per capirlo, facciamo un salto indietro nel tempo.
Il 22 marzo 2023 per i musulmani è cominciato il mese di Ramadan: il nono del calendario islamico, che prevede il digiuno dei fedeli dall’alba al tramonto.
Il Primo Ministro libanese (Najib Miqāti, 67 anni), che per volontà della Costituzione del paese deve essere obbligatoriamente musulmano sunnita (normalmente affiancato da un Presidente della Repubblica obbligatoriamente cristiano maronita e un Presidente del Parlamento obbligatoriamente musulmano sciita), ha deciso di rimandare di un mese il cambio dell’orario, autorizzandone l’aggiornamento ufficiale solo a partire dal 21 aprile (giorno che coincideva con l’‘id al-Fitr, ossia la fine del mese di Ramadan).
In effetti, il Primo Ministro (nonché Presidente della Repubblica ad interim dal 30 ottobre 2022) ha agito per una ragione comprensibile: andare incontro al 67% della popolazione totale che, con il cambio delle lancette, avrebbe dovuto interrompere il digiuno un’ora più tardi per aspettare il tramonto del sole.
Miqāti ha fatto però un errore di calcolo: il restante 32% della popolazione libanese è formato da cristiani (maroniti, ortodossi, cattolici, etc), che con quella decisione sono stati penalizzati per la celebrazione della quaresima, conosciuta come “Ramadan cristiano” in quanto caratterizzata anch’essa da digiuno, ma a orari diversi rispetto a quello dei musulmani. Questo ha portato i cittadini a dividersi in due fazioni a seconda della fede di appartenenza: chi ha accettato di buon grado la decisione presa dal Primo Ministro (ossia la maggior parte dei musulmani), e chi ha deciso di seguire l’orario internazionale per manifestare il proprio disappunto, ovvero cristiani e oppositori del governo. Questi ultimi, stanchi di vedere i signori al potere concentrarsi su decisioni ridondanti in una situazione di crisi economica e umanitaria, hanno fatto la scelta di impostare le lancette un’ora avanti come se nessun comunicato fosse stato pubblicato.
Tra le vie della città c’è stato chi vociferava che gli uomini di Stato stessero cercando di dividere la popolazione per renderla più debole in un momento di forte malcontento; mentre, secondo versioni più complottiste, il governo avrebbe creato scompiglio per tenere impegnata la gente mentre di nascosto si progettava qualcosa di più grande ed estremamente segreto.
La compagnia aerea statale Middle East Airlines aveva dichiarato che gli orari di partenza di tutti i voli programmati dall’aeroporto di Beirut sarebbero stati anticipati di un’ora fino al 21 aprile. Università, scuole, ONG e istituzioni a carattere cristiano hanno inviato e-mail informando gli iscritti che avrebbero seguito l’orario internazionale, mentre professori di istituti indipendenti hanno avuto libertà di scelta con il rischio di far combaciare due lezioni differenti, originariamente consecutive l’una all’altra.
Questa distinzione tra i due orari è stata in realtà il riflesso di una divisione più profonda, creatasi nel corso della storia e che attualmente si cerca di rimarcare, seppur non apertamente.
Durante il mandato francese in Siria e Libano del 1923, la Francia separò geograficamente gli abitanti del territorio occupato a seconda del credo religioso, frammentando un popolo una volta unito secondo la strategia del divide et impera, tipica del colonialismo europeo. I musulmani vennero trasferiti nella valle della Beqā, mentre ai maroniti fu concessa l’area del Monte Libano.
Ora, come eredità, tutto all’interno della vita quotidiana del Libano indica separazione: dall’urbanistica, alla storia, fino alla terminologia utilizzata per esprimersi. Basti pensare alla divisione di Beirut in quartieri in base alla religione di appartenenza: ricordiamo, ad esempio, Ashrafiyeh e Furn el-Chebbak, zone di residenza dei cittadini cristiani; Hamra, quartiere di musulmani sunniti e Dahiye, abitato dagli sciiti.
Senza bisogno di scavare troppo in profondità, la storica guerra civile tra cristiani e musulmani del 1975 ci insegna che convivenza non è sinonimo di fusione.
Essere cittadini in una nazione che riconosce 18 religioni come ufficiali, popolata di milizie parastatali comporta una serie di problemi quotidiani e, a lungo andare, anche psicologici per i residenti.
Tra i tanti motivi, dobbiamo considerare che è ancora difficile approvare l’unione di due persone di credo differente. Ad esempio, per l’Islām il padre trasmette la propria religione ai figli. Perciò, per una donna musulmana sposare un uomo cristiano implicherà accettare che i figli siano automaticamente cristiani.
Ma poiché è indelicato mostrare apertamente questa divisione, non è educazione chiedere esplicitamente “Shū diynak?” (“Qual è la tua religione?”), e negli anni sono state sviluppate tattiche per comprendere al volo la fede di chi si ha di fronte, anche se ha solamente pronunciato la parola “tsharrafnā” (“piacere di conoscerti”). Ci sono tanti trucchi con cui le persone cercano di indovinare la religione di chi hanno di fronte.
In primo luogo, bisogna fare attenzione all’accento, che può variare di città in città così come di quartiere in quartiere. Dahiye è a sud di Beirut, per cui i musulmani sciiti avranno una cadenza diversa da chi abita a Gemmayzeh, che invece è un quartiere situato al nord ed è abitato esclusivamente da cristiani.
Secondo, non bisogna distrarsi quando l’altro si presenta: un ragazzo che si chiama Muhammad o Ahmad sicuramente rende omaggio al Profeta, mentre uno che si chiama ‘Ali è quasi sicuramente musulmano sciita, perché per l’Islām sunnita ‘Ali non viene riconosciuto come successore del Profeta. O ancora, se un uomo si chiama Maroun, è chiaro che la fede di appartenenza della famiglia sia cristiana maronita.
Inoltre, è importante osservare il tipo di velo che indossano le ragazze, ed in base alle caratteristiche capire se sia di tradizione sunnita o sciita.
O ancora, tra tante altre opzioni, si può riconoscere il credo dal modo in cui una persona dice “lo giuro”, se facendolo in nome di Allah o della croce.
Tornando alla questione principale dell’ora in Libano, all’alba del 30 marzo 2023, il governo ha ufficializzato il cambiamento d’orario in linea con quello internazionale, forse per non mostrare ad altri paesi il mancato rispetto da parte della popolazione delle regole imposte, o forse per l’inaspettata instabilità di cui questa ha sofferto.
Ciò che è certo è che questa spaccatura non è silente, ma sottile, presente nei dettagli.
La si percepisce nel pronome “noi” utilizzato in contrapposizione a un “loro”; la si avverte in uno sguardo severo o spaventato in mezzo alla strada, e riaffiora nella prontezza con cui ci si schiera da una parte o dall’altra non appena l’orario cambia.