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La guerra dei Trent’anni fu la prima guerra mondiale? Cronistoria e analisi del conflitto più violento dell’epoca moderna

di Enrico Molle

La guerra dei Trent’anni (1618-1648) rappresenta il conflitto dell’era moderna che più si avvicina alle due Guerre Mondiali dello scorso secolo, inquadrate non a caso, pur all’interno di diverse prospettive storiografiche, come un periodo unitario definito “seconda guerra dei trent’anni”. Il conflitto si caratterizzò per le gravissime e ripetute devastazioni di centri abitati e campagne, per le uccisioni di massa e per le continue operazioni militari condotte con spietata ferocia da eserciti mercenari che saccheggiavano e depredavano senza alcun controllo. A ciò si aggiunsero epidemie e carestie che nel complesso causarono un’epocale catastrofe, in particolare per i territori dell’Europa centrale.
Il conflitto ebbe conseguenze politiche che determinarono i confini di alcuni Stati così come li conosciamo oggi. Precisamente il confine franco-ispanico dei Pirenei venne sancito a conclusione delle ostilità tra Spagna e Francia (dilungatesi oltre la guerra dei Trent’anni), allo stesso modo i Paesi Bassi (a quel tempo conosciuti come Province Unite) confermarono la loro indipendenza dalla Spagna durante la guerra e la Svizzera ottenne la sua indipendenza dal Sacro Romano Impero poco dopo la fine del conflitto. Tuttavia il risultato più rilevante fu la frammentazione della Germania, formata da Stati di fatto indipendenti, che durerà sino al 1871, quando sarà riunificata dalla Prussia.
Da un punto di vista più generale, la guerra dei Trent’anni fu al contempo l’ultimo conflitto religioso dell’Europa occidentale e l’esito dell’affermazione di un sofisticato mercato militare poco rispettoso delle divisioni confessionali. Inoltre la Pace di Vestfalia, che mise fine alla guerra, viene ancora oggi considerata come uno dei cardini della concezione dello Stato sovrano e il primo trattato stipulato tra pari, in quanto i principi tedeschi protestanti ebbero libertà di culto.

Per apprendere a fondo le motivazioni che prepararono il terreno alla guerra dei Trent’anni, è doveroso analizzare quella che era la situazione nel Sacro Romano Impero dopo la pace di Augusta, stipulata il 25 settembre 1555 tra Ferdinando d’Asburgo, in rappresentanza di suo fratello Carlo V, e la Lega di Smalcalda, un’unione di principi protestanti del Sacro Romano Impero, presso la città imperiale di Augusta. Questa pace religiosa andò a sancire la divisione della Germania tra cattolici e luterani, scongiurando il riproporsi di contrasti confessionali per un ventennio. Grazie all’introduzione del principio cuius regio, eius religio (“Di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione”), venne garantita la convivenza pacifica tra cattolici e luterani, non solo nelle zone di confessione mista della Germania meridionale, ma anche negli Stati territoriali.
Tuttavia rimasero aperti vari problemi poiché la pace era considerata, principalmente dai luterani, come una tregua temporanea. Inoltre i termini del trattato prevedevano l’adesione dei principi o al credo cattolico o al credo luterano, escludendo tutti gli altri, compreso il calvinismo che andava diffondendosi rapidamente in varie aree della Germania. Intorno agli anni settanta del XVI secolo i conflitti religiosi si riaccesero nel Sacro Romano Impero, sotto la triplice spinta dell’offensiva cattolica, dell’espansione del calvinismo e del consolidamento del luteranesimo. Particolare rilevanza ebbe l’intensa attività cattolica, capitanata dalla Compagnia di Gesù, che portò la Baviera e i principati vescovili a rafforzarne la presenza e l’identità in ampie zone della Germania meridionale e occidentale, mentre nella Germania centro-settentrionale la nobiltà rimaneva in maggioranza luterana. La situazione divenne progressivamente più instabile con la diffusione del calvinismo in alcune aree dell’Impero, soprattutto in Boemia e Ungheria.
In un tale contesto gli Asburgo, al di là delle loro propensioni religiose e culturali, bisognosi dell’aiuto delle varie classi sociali presenti nei loro domini per fronteggiare la minaccia turca, fecero ripetute concessioni politiche e religiose prima con Massimiliano II d’Aburgo (1564-76), che rispettò le diversità confessionali, poi col suo successore Rodolfo II (1576-1612) che mantenne un atteggiamento analogo e concesse, con la Lettera di maestà (1609), la libertà di coscienza ai sudditi del regno di Boemia, all’interno del quale i cattolici rappresentavano una netta minoranza. Ciò nonostante, l’aggressività dell’azione dei gesuiti, sostenuta dal papato, e il profilarsi di un contrasto interno nella famiglia imperiale (alcuni membri, educati dai gesuiti, mostravano grande ostilità verso i protestanti) spinsero nove principi luterani e calvinisti e diciassette città imperiali, guidati dal calvinista Federico V del Palatinato, a costituire una lega difensiva, l’Unione Evangelica (1608). Di conseguenza venti principi cattolici diedero vita ad una propria alleanza politica, detta Lega Cattolica, sotto la guida del duca Massimiliano di Baviera.
In seguito, l’imperatore Mattia D’Asburgo (1612-19) attenuò la politica di pacificazione dei suoi due predecessori e disattese la Lettera di maestà, confermando una situazione di tensione che precipitò definitivamente col sorgere del problema della successione alla corona imperiale, poiché Mattia, privo di eredi, aveva designato come suo successore Ferdinando duca di Stria, un cattolico intransigente.

Hans von Aachen – Mattia, imperatore del Sacro Romano Impero (1625)

In Boemia, di fronte al tentativo di Mattia di imporre limitazioni al culto calvinista per aprire la strada all’incoronazione di Ferdinando, crebbe il malcontento e la città di Praga insorse il 23 maggio 1618, prendendo d’assalto il castello Hradčany e gettando dalla finestra i due rappresentanti imperiali Martinic e Slavata (la cosiddetta “defenestrazione di Praga”). Al gesto insurrezionale seguì, dopo la morte di Mattia, il rifiuto dei boemi a riconoscere Ferdinando come loro sovrano e il conferimento della corona all’elettore Federico V del Palatinato, capo dell’Unione Evangelica (4 novembre 1619). Questa scelta trasformò la rivolta boema in una guerra europea.

La defenestrazione di Praga (incisione di Matthäus Merian il vecchio)

Cronistoria della guerra dei Trent’anni

Con guerra dei Trent’anni si intende la serie di conflitti armati che dilaniarono l’Europa dal 1618 al 1648. Gli scontri si svolsero in un primo momento nei territori dell’Europa centrale appartenenti al Sacro Romano Impero Germanico, coinvolgendo successivamente la maggior parte delle potenze europee, fatta eccezione dell’Inghilterra e della Russia. Durante questi trent’anni la guerra cambiò gradualmente natura e oggetto: iniziata come conflitto religioso fra cattolici e protestanti, si concluse in lotta politica per l’egemonia tra la Francia e gli Asburgo.

La guerra dei si può dividere in quattro fasi: boemo-palatina (1618-1625), danese (1625-1629), svedese (1630-1635), francese (1635-1648).

Fase boemo-palatina: Alla «defenestrazione di Praga» del 1618, seguì la rivolta degli abitanti della Boemia e dei possedimenti asburgici. Federico V del Palatinato venne appoggiato dall’Unione Evangelica, mentre l’imperatore chiese il supporto da parte della Spagna. Dopo alcuni successi limitati dei boemi, le truppe di Ferdinando II d’Asburgo e della Lega Cattolica, procedettero all’invasione e alla pacificazione dei territori ribelli, culminata nella disfatta subita dai boemi nella battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1620), a cui fece seguito una forzata cattolicizzazione e germanizzazione della Boemia.

Peter Snayers – The Battle of White Mountain

La repressione fu durissima e culminò nell’espulsione ed eliminazione dei nobili boemi calvinisti, i cui beni confiscati vennero distribuiti a favore dei nobili cattolici fedeli agli Asburgo, e nella promulgazione del 1627 di una nuova costituzione che sanciva il carattere ereditario, non più elettivo, della corona boema nella famiglia degli Asburgo, con il riconoscimento di un forte potere di controllo e di intervento del sovrano nelle istituzioni del regno.
Nel 1621, scaduta la tregua dei dodici anni con i Paesi Bassi, si riapriva il fronte di guerra tra la Spagna e le Province Unite: sotto il controllo politico-militare del conte-duca di Olivares, le milizie iberiche misero inizialmente a segno una serie di vittorie che permisero agli spagnoli di aprire, nel 1625, un terzo fronte di guerra, questa volta contro i seguaci della riforma protestante situati in Valtellina.

Fase danese: Nonostante i primi successi dei cattolici, l’Unione Evangelica trovò comunque, nel 1625, una nuova guida in Cristiano IV di Danimarca, capo della circoscrizione imperiale della Bassa Sassonia. Il sovrano danese era sostenuto politicamente dalla Francia che, sotto la guida del cardinale Richelieu, cominciò a contrastare la politica espansionistica degli Asburgo.
L’Imperatore rispose arruolando nuove truppe e assegnandole ai generali Tilly e Wallenstein, che conseguirono due vittorie a Dessau nell’aprile 1626 e a Lutter-am-Barenberg nell’agosto dello stesso anno. Queste due sconfitte segnarono la fine dell’offensiva danese e Cristiano IV fu costretto a firmare la pace di Lubecca (1629), con cui si impegnava a non intromettersi nelle vicende tedesche.

Philippe de Champaigne – Cardinale Richelieu

Fase svedese: La ripresa del conflitto coincise con l’apertura del nuovo decennio e vide l’entrata in campo della Svezia guidata da Gustavo II Adolfo, quale difensore della causa protestante e dell’ordine all’interno del Sacro Romano Impero. Anche in questa occasione la Francia si schierò indirettamente contro le forze imperiali, appoggiando finanziariamente gli svedesi che in un primo momento riportarono un eccezionale successo nella battaglia di Breitenfeld (agosto 1632) e continuarono la loro avanzata nei territori dell’Impero fino alla vittoria nella battaglia di Lützen (novembre 1632), nella quale però perse la vita Gustavo II Adolfo.

Gustavo II Adolfo

Gli svedesi continuarono comunque la loro avanzata e venne posto a capo dell’armata il cancelliere Oxensiterna. Tuttavia a causa di alcuni conflitti interni del partito protestante, i cattolici, anche grazie all’aiuto di truppe inviate dalla Spagna, riuscirono a sferrare una controffensiva che portò alla sconfitta svedese nella battaglia di Nördlingen (settembre 1634). Si giunse dunque alla Pace di Praga del 1635, con la quale vennero ripristinati gli strumenti giuridico-istituzionali dell’Impero, vennero proibite future alleanze formali tra gli Stati membri dell’Impero e furono unificati tutti gli eserciti in un’unica armata al servizio dell’Imperatore. Era quindi un successo, seppur parziale, degli Asburgo.

Fase francese: Con il conflitto che verteva a favore degli Asburgo, la Francia sentì la necessità di entrare in guerra, trasformando definitivamente in lotta per l’egemonia europea quello che era stato considerato fino ad allora uno scontro confessionale. Se in un primo momento i francesi subirono diverse sconfitte a causa di difficoltà militari, successivamente, con l’aiuto della Svezia, riuscirono a ribaltare la situazione facendo pendere la bilancia del conflitto a sfavore delle forze imperiali. Ciò fu reso possibile dalla collaborazione dei due eserciti che riportarono una serie di successi all’interno dei territori dell’Impero. In contemporanea la Spagna veniva sconfitta sia sul fronte marittimo con la flotta delle Province Unite che ebbe la meglio nella battaglia delle Dune (1639), sia sul fronte interno dove l’esercito francese sbaragliò quello spagnolo nella battaglia di Rocroi (1643).

Trattati di pace: Le trattative per la pace cominciarono nel 1643 e si protrassero sino al 1648, rivelandosi complesse e laboriose. I trattati vennero firmati nelle due città di Osnabrück e Münster, rispettivamente il 15 maggio e il 24 ottobre del 1648, e sono solitamente identificati con il nome collettivo di Pace di Vestfalia. Tale pace sancì il tramonto del sogno egemonico degli Asburgo e riconobbe una sostanziale divisione della Germania in due campi, uno cattolico vicino agli Asburgo e uno luterano e calvinista vicino alla politica della Francia e della Svezia.
La pace non riguardò il conflitto tra Francia e Spagna che continuò ad oltranza sino al 1659, quando venne siglata la Pace dei Pirenei.

Contesto storico sociale

Per apprendere pienamente la tragicità e la portata devastante dei numerosi conflitti legati alla guerra dei Trent’anni, oltre alla situazione di forte tensione presente nel Sacro Romano impero, bisogna tenere in considerazione che gli eventi religiosi che si susseguirono dalla pace di Augusta (1555) allo scoppio della guerra dei Trent’anni (1618-48) ebbero come sfondo un’Europa piegata dalla cosiddetta “crisi generale del Seicento”. Con tale concetto si vuole intendere insieme la crisi delle strutture agrarie, la contrazione demografica e quella manifatturiera, industriale e commerciale, con un’intensificazione del ciclo carestia-epidemia-carestia. A un quadro di per sé poco rassicurante, si aggiunsero gli effetti nefasti della guerra e il declino di vecchie gerarchie all’interno degli Stati.
La crisi fu annunciata da una serie di annate fredde sul finire del XVI secolo, che causarono scarsi raccolti e conseguenti carestie, causando denutrizione e una ripresa massiccia delle epidemie. Per di più le guerre, che durarono per buona parte della prima metà del secolo, seminarono distruzioni, massacri, miseria e fame. Infine, puntuale come sempre nei momenti di grave difficoltà storica, ritornò la peste che colpì con violenza numerose città e Stati (1587-91 Genova e Barcellona; 1596-99 Castiglia e Germania; 1592-93 e 1603 Inghilterra; 1600-16  Francia).
È importante segnalare che la crescita demografica che aveva caratterizzato il Cinquecento subì una battuta d’arresto nel Seicento, legata non solo agli effetti dovuti a guerre, carestie ed epidemie, ma anche all’innalzamento dell’età media al matrimonio. La diminuzione della popolazione si tradusse in una caduta della domanda dei beni di consumo e nel conseguente crollo dei prezzi dei cereali, provocando un forte rallentamento della produzione agricola e di quella manifatturiera e quindi l’estendersi della disoccupazione.
Di fatto il crollo dei redditi agricoli provocò la riduzione della domanda dei prodotti delle manifatture, costrette già ad agire in un mercato ristretto a causa della povertà delle masse contadine. La crisi si estese anche alle attività che utilizzavano manodopera specializzata e da queste al commercio continentale dell’Europa. Tuttavia la crisi, definita generale per la molteplicità di fattori e componenti che entrarono nel processo storico e per la vastità delle aree investite, non ebbe un’omogeneità nelle dinamiche e negli effetti, infatti non colpì tutti i Paesi allo stesso modo, negli stessi tempi e negli stessi settori.
Gli Stati che furono maggiormente segnati da questa crisi furono la Spagna e l’Italia.
Nel Cinquecento la Spagna aveva beneficiato delle importazioni di oro e argento americano, ma lo utilizzò maggiormente per l’acquisto di beni di consumo dai mercati europei, anziché per lo sviluppo di nuove e più moderne attività agricole o manifatturiere. Con l’esaurirsi delle riserve minerarie del Nuovo Continente, il paese si avviò verso la decadenza economica e politica.
In Italia, in buona parte controllata dalla Spagna, le conseguenze della crisi furono particolarmente dure nelle campagne del Meridione, dove i feudatari ampliarono i loro privilegi e imposero una tassazione che pesava esclusivamente sulle classi più povere. Tra l’altro, entrò in crisi anche la produzione tessile che non riuscì a fronteggiare la concorrenza dei panni inglesi e olandesi, meno raffinati, ma meno costosi, subendo nell’arco di un secolo un vero e proprio tracollo.
Inoltre è opportuno segnalare che nel Seicento si giunge al culmine di un processo che, partendo da una nuovo ruolo affidato alla guerra, grazie all’espansione e ai mutamenti degli eserciti, portò a un incremento delle spese militari e di conseguenza a esigenze fiscali sempre maggiori, quindi all’adozione di nuove forme di coercizione e di sfruttamento delle risorse dello Stato. Le guerre che si susseguirono nella prima metà del secolo spinsero tutte la potenze coinvolte nei conflitti alla creazione o al consolidamento di eserciti e marine permanenti e a una standardizzazione delle tecniche di guerra e delle armi. Tale opzione, pur consentendo notevoli vantaggi sul piano logistico e sul piano tattico, rese assai costosa la sostituzione delle armi e meno conveniente l’innovazione tecnologica, costringendo a un mutamento della scala delle spese (destinate sempre di più all’assetto militare) e del prelievo fiscale. Tutto ciò portava, sia nelle grandi monarchie occidentali, già investite da tendenze assolutistiche, che nei domini asburgici, nei piccoli principati dell’Europa centrale e nel sistema ancora fluido dei regni settentrionali, a un rafforzamento del potere sovrano.
È sconsigliato tuttavia considerare i grandi conflitti come il fattore primario del mutamento, poiché essi stessi furono il risultato di scelte politiche e l’espressione di interessi e di valori collegati ai processi in corso. Nel nuovo sistema degli Stati europei la politica estera acquistava una peso preponderante e il ruolo del sovrano come supremo arbitro della giustizia lasciava spazio a quello del re guerriero. Per i sovrani l’impegno militare rappresentava il mezzo per conseguire maggior gloria e maggior reputazione e per rafforzare il proprio dominio interno. Inoltre, la guerra si offriva alla nobiltà come possibilità di affermazione, creando anche le condizione di un’obbedienza più forte e di un’alleanza più stretta con il sovrano.
La tendenza all’assolutismo va quindi considerata come una delle cause delle guerre e non solo come uno dei loro esiti, ponendosi effettivamente alle radici della guerra dei Trent’anni e rendendola uno scontro nodale nell’affermazione di questa tendenza.
Alla luce di tali analisi e valutazioni, la guerra dei Trent’anni, per portata, devastazione e implicazioni socio-politiche, è il conflitto che più si avvicina al concetto di “guerra mondiale” e probabilmente tale si sarebbe definito se si fosse verificato in epoca contemporanea. Tuttavia il coinvolgimento di sole potenze europee, nonostante esse costituissero all’epoca il centro nevralgico del mondo, vista la troppo recente scoperta del continente americano e la quasi totale indifferenza dell’Oriente per le questioni occidentali, non ha consentito al dibattito storiografico di considerare all’unanimità il conflitto come “mondiale”.
Rimane però innegabile che la guerra dei Trent’anni sia da considerarsi come l’evento bellico che più ha fiaccato e colpito l’Europa e la sua popolazione prima dei due conflitti mondiali dell’epoca contemporanea.