Oltre il confine

La lunga strada della pìetas

di Mara Torricelli

Nella Roma antica, il concetto di pìetas nasce insieme al concetto di civitas. È legato, infatti, al concetto di obbedienza e onore verso gli dei, una delle virtù più antiche del Mos maiorum: “Per una società come quella romana, le tradizioni sono il fondamento dell’etica: esse comprendono innanzitutto il senso civico, la pietas, il valore militare, l’austerità dei comportamenti e il rispetto delle leggi”[1] .
Il mos maiorum[2], l’antico costume degli antenati, maturato insieme al forte legame verso la famiglia e la patria, fin dai tempi delle formazioni delle prime tribù ai primordi dell’Urbe e poi cresciuto insieme alla città, viene ripreso nel I secolo a.C. dall’imperatore Augusto.
L’imperatore, appena salito al potere, si propone di recuperare gli ideali antichi e restaurare quella Pax Romana tanto necessaria, dopo il terribile periodo delle guerre civili che avevano insanguinato, per un secolo, Roma. Certamente, un grande merito nel ritorno alla sensibilizzazione degli animi va dato al Circolo degli Scipioni[3] nel II sec a.C., a cui si deve il merito di aver dato impulso all’humanitas, intesa come attenzione ai bisogni umani e al filantropismo. Il popolo romano, come avviene spesso verso le novità, all’inizio si è dimostrato piuttosto ostile e refrattario. Il novus un po’ ci fa pensare ad un cielo che si apre dopo la pioggia, al rasserenarsi, all’andare verso cose più belle, ma un po’ è anche sinonimo di rivoluzione e sovvertimento.[4]

Stretta di mano Era-Atena, Museo dell’Acropoli

Insieme alla naturale diffidenza per il nuovo, la novità caldeggiata dal Circolo degli Scipioni (la filantropia greca, la filosofia, il pensiero critico) era stata ostacolata per la necessità stringente dei Roma di votarsi, invece, alla guerra, alle campagne di conquista, all’espansione[5]. Soprattutto l’importanza data ai sentimenti veniva considerata debolezza oppure ozio[6]. Che forza avrebbe avuto un soldato sul campo di battaglia se fosse stato innamorato e se questo Amore disperato gli avesse tolto le forze per combattere? Dunque, il nuovo che arrivava dall’Oriente viene osteggiato anche per motivi di contenuto, non solo per avversione al nuovo: conosciuta la filosofia, Lucrezio osava respingere la realtà degli dei e sembrava esortare a vivere cercando il piacere[7], e Catullo parlava per un intero libro di un amore perverso, per di più adultero e che lo distrugge fino alla morte!

Ma come sappiamo, a dispetto di tutto il pensiero greco, la letteratura, le nuove forme di riflessione invadono Roma e molti maestri e retori greci, arrivati come prigionieri dalle regioni elleniche, vengono scelti dalle famiglie romane per fare da precettori ai propri figli. La filosofia greca, come una piccola pianta, attecchisce subito a Roma, dove il terreno era fertile e ben concimato dagli ideali dell’humanitas curati e diffusi dal Circolo degli Scipioni.

La pìetas una necessità politica

Quando Augusto sale al potere nel 31 a.C., la prima necessità è quella di dare nuovo impulso al Mos maiorum e riportare in auge gli antichi ideali di Roma, dove la pìetas è l’anello della catena che lega a sé tutti gli altri valori.

Augusto di Prima Porta, Musei Vaticani

Pìetas, un termine  che vuol dire devoto, ubbidiente. È comprensibile come nel I secolo Augusto sentisse la necessità di riportare alla luce questo concetto e ridargli il valore perso. L’imperatore si ritrova a capo di una Roma immensa che aveva agglomerato molte altre culture e aveva bisogno di principi unificatori. Inoltre, non si erano placate neppure le voci di dubbio su chi fosse veramente più adatto al comando assoluto: molti rimanevano affezionati ad Antonio, il forte comandante delle truppe di Cesare.
Restaurare gli ideali del Mos maiorum diventa, dunque, una necessità politica, unificante e personale. Ed ecco che, nella mente sua e dell’amico Mecenate[8], nasce l’idea di riportare alla mente dei romani e far conoscere ai nuovi popoli gli ideali di cui voleva farsi portavoce. Quello che nasce sarà noto col nome di propaganda Augustea.

Sostanzialmente essa si basa su tre concetti principali (che poi si incatenano tra loro, e tra loro dipendono, come maglie di una catena). Il primo, possiamo dire il più “impellente” per la ripresa economica dell’impero, è la rivalutazione dei campi. Augusto chiede agli scrittori del circolo di Mecenate di riportare in luce la figura del pius agricola, il contadino che con il suo lavoro dà vita a tutti i principi del Mos maiorum: ara i campi, li semina, aspetta con pazienza, mangia i frutti del suo lavoro, non è invidioso degli altri. Pochi lavori come quello dei campi portano alla spontanea nascita di una comunità, dove si forma naturalmente un necessario aiuto reciproco. Pensiamo alla mietitura del grano, pensiamo alla vendemmia. Aiutarsi l’un l’altro: come le api[9], prese ad esempio privilegiato proprio da Virgilio, di un lavoro cooperativo perfetto: così dovrebbe essere lo stato perfetto. 

Jean-François Millet, Preghiera

Il contadino evita il superfluo e usa invece la parcitas, cioè consuma quello che è necessario, ed è generoso verso gli altri. Nella novella di Ovidio, Filemone e Bauci[10], i due vecchietti vivono del loro amore, devoti agli dèi, generosi verso gli altri. Un giorno arrivano gli dèi vestiti da mendicanti (che tutti gli altri abitanti hanno cacciato). I due vecchi, secondo i sacri principi dell’ospitalità, li accolgono ed offrono subito loro quelle povere ma dignitose cose che hanno nella parca mensa. Sono poche cose, messe da parte per il loro inverno, ma gliele donano con dignità, apparecchiando una tavola povera ma pulita e ordinata.
Un simile esempio si trova nelle Bucoliche, in particolare nella prima ecloga. È molto triste Titiro, sotto l’ombra di un ampio faggio; suona il suo flauto ma vede passare l’amico Melibeo che, con le poche masserizie raccolte in un carro, lascia la sua casa. Un estraneo prenderà possesso del suo podere e lui deve andare a cercarsi un’altra terra, da un’altra parte[11]. Ma ormai è sera e Titiro lo invita a rimanere: stai con me, non andartene… ho delle castagne molto molto tenere e formaggio (latte cagliato)[12] …rimani con me, vedi? scende la notte e qui potrei trovare un po’ di conforto…[13]

Solo nel pius agricola possono ritrovarsi i valori della pìetas che si è nutrita dell’humanitas, come è chiaro dall’esempio delle Georgiche, dove Virgilio arriva anche alla convinzione di una forza salvifica e terapeutica del lavoro in campagna, capace di allontanare e agire contro le sofferenze interiori. Tant’ è vero che, se nelle Bucoliche si ripeteva spesso “Sors omnia versat”[14] nelle Georgiche è, invece, ricorrente la frase “Labor Omnia vicit improbus”[15] , la dura fatica è capace di vincere tutti i dolori…[16]

Enea in fuga da Troia, di Pompeo Batoni, 1750

Il secondo punto importante della propaganda Augustea è legittimare la sua presenza a capo dell’Impero. Si trattava di eternare, mettendo nero su bianco, l’antica leggenda della sua discendenza dalla Gens Iulia, e quindi da Enea, il Pater della patria. Ma come fare a mettere questa leggenda per scritto e tramandarla ai posteri, perché tutti la leggessero e la facessero propria?

Dea Pìetas

Augusto cercò chi potesse scrivere una tale opera, creando un eroe, Enea, portatore di tutti i valori augustei, in primis la pìetas[17]. Nasce così, l’Eneide in cui Virgilio, cercherà di dar vita all’eroe che voleva Augusto[18]… il modello di Enea viene declinato perfettamente con numerosi esempi. Pensiamo fra tutti quello in cui, invece di scegliere una possibile salvezza per sé, torna indietro nella Troia in fiamme, per salvare suo padre. L’eroe si getta tra i vicoli della città più e più volte, anche per cercare la moglie, incurante del pericolo. Pensiamo poi anche all’incontro con Lauso e alla sua triste morte; avvertiamo la pìetas nelle parole di Enea: “Povero ragazzo, che può darti il pio Enea/per le tue imprese, che sia degno della tua indole?”[19]

Il terzo punto della propaganda Augustea contiene, da un certo punto di vista, anche gli altri due, come anelli di una catena. Infatti, della rivalutazione del Mos maiorum fanno parte la pìetasl’ubbidienza agli dèi, l’amore verso gli altri, l’amore verso la patria, ma anche la generosità, la necessità di stare bene in campagna, e vivere dei doni della terra. Una vita sana e felice, insomma. Augusto trasformò in divinità questi “anelli di una catena” che portavano a una vita beata e alla completa pax augustea: la salute fu trasformata nella dea Salus[20], lo star bene, la serenità nella Felicitas.[21]

Dopo l’età augustea: da pìetas a pietà

Ma dopo l’età Augustea, il concetto originario di pìetas vacilla fortemente, già con i primi imperatori della dinastia Giulio-Claudia[22].
In più, con le progressive conquiste dell’Oriente arrivano a Roma altre religioni; cominciano a mescolarsi con gli ideali del Mos Maiorum altri ideali e altre divinità. Il più diffuso è il culto di Mitra, soprattutto fra i soldati (che stanno diventando lo strato sociale più forte, nella sempre più vacillante civitas romana) , che inneggia alla forza fisica e ad antesignano “superuomo” nelle vittorie amorose e belliche[23].
E infine si diffonde il cristianesimo, che si diffonde a macchia d’olio, nonostante le persecuzioni e le violenze per arginarlo. Nel cristianesimo la pìetas è un cardine fondamentale ma, se guardiamo bene, è inclinata in un’ottica meno ampia e orizzontale (onore per la patria, gli dèi, la famiglia, i doveri…) e sempre più verticale: il referente è Dio, e l’uomo, in basso, si rivolge a Lui, in alto.
A Dio viene richiesta pietà, pietà per le colpe commesse, pietà per il dolore, perché solo Dio ci può aiutare: pietà è sinonimo di misericordia “miserere mei, Deus”[24].
Agli uomini viene chiesto di essere misericordiosi verso il prossimo, nel quale vedere l’alter-ego di se stessi e di Dio[25].

La Pietà, V. Van Gogh

E così il concetto di pìetas comincia a inclinarsi fino ad assumere, attraverso il medioevo e poi fino a noi, il significato di pena, sinonimo di dolore (“quel povero cane mi fa pena”= mi dà dolore vederlo”), sinonimo di disapprovazione, di cosa mal fatta o mal riuscita, o meschina, miserevole(= “un romanzo, uno spettacolo recitato da far pena!”) e disgusto (“Ma vestiti bene! Mi fai pena vestito così!!”) e così via.
Il concetto di pìetas del periodo classico continuerà ad avere, tuttavia, il suo significato pregnante nella letteratura successiva, in quegli autori che riprendono il classicismo latino, usando, quindi, il termine nel medesimo significato. Per esempio Tasso nella Gerusalemme liberata parla di Goffredo Buglione come se fosse un novello Enea, e Dante nell’Inferno usa il termine pietà ( Allor fu la paura un poco queta, / che nel lago del cor m’era durata / la notte ch’i’ passai con tanta pieta (DANTE Inf. I, 19-21) come pena interiore, come qualcosa che lo punge a pena (sofferenza), anche se nello stesso modo usa il termine in altre terzine ( affetto, devozione, soprattutto verso i genitori: né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre… / vincer potero dentro a me l’ardore / ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto (Dante Inf. XXVI, 94-98).
Innovativo potrebbe essere l’uso che del termine fa Leopardi, il quale amalgama il concetto di “solidarietà” alla pìetas ma scevra comunque di un referente divino[26]. Nessun Dio misericordioso esiste per Leopardi.  Tuttavia, egli riesce a dare alla parola una caratteristica più alta, che sa di spiritualità, di valore universale, di unione tra gli uomini: “la nobile natura è quella che non replica il meccanicismo spersonalizzante della natura matrigna ma concorre alla realizzazione di una società fondata sulla giustizia e sulla pietà: la giustizia, che è la ricomposizione dei contrasti sociali e dei soprusi dell’uomo sull’uomo, e la pietà, quell’impulso di bene che in una pagina sublime dello Zibaldone (3607) viene chiamato «l’affetto dolcissimo della pietà, madre o mantice dell’amore»”[27].

La lunga strada della pìetas, dunque, arriva a noi oggi matura, un’essenza piena di tante esperienze. La possiamo usare come caratteristica di quella nobiltà d’animo che, pur rara,  ancora si conserva nelle pieghe di alcuni spiriti. La possiamo usare nel termine più alto, o più basso.
Quello che conta è conoscerne la storia e distinguerne l’origine e la fine.
Alfa e omega, un cammino lunghissimo.


[1] Wikipedia, Mos maiorum

[2] I principi fondamentali del Mos maiorum erano: Fides, Pietas, Maiestas, Virtus, Gravitas

[3] Il circolo degli Scipioni fu creato da Scipione l’Emiliano e l’Africano, con i proventi delle vittorie delle guerre puniche. Rivoltasi verso la conquista dei regni Ellenistici, Roma entrò in contatto con la cultura greca, la filosofia, ancora sconosciuta a Roma, la poesia d’amore ecc.; e così il pensiero greco cambiò radicalmente quello latino.

[4] i Romani, erano dominati da una particolare venerazione per l’autorità, la tradizione, e insieme da una radicata avversione per ogni mutamento, a meno che il mutamento non potesse dimostrarsi in armonia col costume avìto, col mos maiorum. Mancando ancora una qualsiasi idea di fede nel progresso, che non era ancora stata inventata, i Romani guardavano alla novità con sfiducia e avversione. La parola novus suonava male (si veda R. Syme, La rivoluzione romana, Torino 1962, p. 317, ed. orig. Oxford 1939).

[5] Roma, come sappiamo, conquista prima il centro poi il Sud, per poi spostarsi al nord e alle regioni dell’ Europa, oltre che, con le guerre puniche, all’ Africa e alle regioni ellenistiche in Oriente.

[6] Significativo è il carmen n.5 di Catullo, in cui i vecchi “severiores” rimproverano il poeta per il tempo che egli dedica alla donna amata, ricordandogli che l’otium, nel passato, è riuscito ad abbattere regni e città ricchissime.

[7] in realtà, il tentativo di Lucrezio fu veramente eroico, perché tale è mettere i concetti del filosofo Epicuro, in versi, e coraggioso pensare che proprio l’approccio alla poesia rendesse ai romani più gradevole( De rerum natura, L1, vv 935) cogliere il contenuto un po’ “oscuro” per loro (graecorum obscura reperta, libro I, vv 136); la trasformazione dell’epicureismo in edonismo, non è da additare a sua responsabilità, bensì alla comprensione storica e alla diffusione dei concetti essenziali, nuovi e sconosciuti ai romani. La demonizzazione di Lucrezio, inoltre, è probabilmente dovuta al passaggio del manoscritto in epoca medioevale, che, in qualche modo deve aver agito per “oscurare” le parti più dense di significato, ma altrettanto scomode, per una certa mentalità.

[8] Mecenate, amico di Augusto e ricco etrusco, dà vita al Circolo di Mecenate, di cui fanno parte Virgilio, Orazio, Livio.

[9] nel IV l. delle Georgiche, Virgilio parla di apicoltura come forma di società ideale; anche la filosofia trae lo stesso spunto dalle api (Seneca, Lettere a Lucilio Libro XI – Lettera I: «Non vedi con quanta precisione le api costruiscono la loro casa, con quanta concordia da parte di tutte ciascuna attende ai rispettivi compiti?».)

[10] Ovidio, Metamorfosi. Ovidio, sebbene non molto gradito ad Augusto (forse per questo mandato in esilio nel Ponto Eusino, dove morirà), rientra, però, tra gli autori che hanno in qualche modo “ubbidito” alla propaganda augustea, non foss’altro per le Metamorfosi, che, al di là del tema più apparente della trasformazione, sono comunque inserite nella natura, nel ciclo naturale delle cose, oltre a mettere ben in evidenza che Augusto ha portato ordine nel Caos iniziale.

[11] Come sappiamo, Virgilio rivive nelle Ecloghe la sua esperienza personale: la ridistribuzione delle terre, dopo la battaglia di Filippi del 42 a:C. prevedeva che le terre dei vinti (Bruto e Cassio), passassero ai vincitori (Antonio e Ottaviano). Virgilio riuscirà a riottenere le sue terre, grazie ai suoi meriti poetici, ma non dimentica gli amici che non sono stati altrettanto fortunati.

[12] il latte, il formaggio caratterizzano l’ambiente bucolico e pastorizio teocrideo, in cui si svolge la vicenda

[13] Buc.I., vv 79-85

[14] Buc.IX, vv5

[15] Georg.,I, vv 145-146

[16] Tale convinzione viene abbracciata anche dalle moderne teorie che individuano nel dedicarsi a lavori manuali e progetti, un modo per superare ed elaborare “lutti” o sofferenze psichiche: https://www.boxdellasalute.com/2020/03/20/10-hobby-che-migliorano-la-salute-mentale/

[17] La proposta inizialmente viene fatta prima ad Orazio. Ma Orazio recusa gentilmente, facendoci capire che in altro modo aderirà, comunque alla propaganda: dice che preferisce una vita tranquilla, piuttosto che la celebrità o la vita vicino all’imperatore…Ma, nella campagna, di fatto, egli ambienta le sue opere e il suo pensiero, spiegando e dimostrando quanto sia beata la vita nella Natura e quindi, riprendendo ed esaltando il primo punto della propaganda: la rivalutazione della vita in campagna.

[18] in verità rivedendo Enea possiamo anche avere dei dubbi e delle perplessità: si possono intravedere nel suo personaggio anche degli atti di ribellione. Le sue perplessità, i suoi ritardi nell’ obbedienza agli dei, la tristezza di sentirsi in qualche modo non libero della sua volontà… (si veda ad esempio Civitanova, 10 luglio 2016, «Enea, l’eroe triste» raccontato da Massimo Cacciari)

[19] Eneide X, 762-908

[20] https://www.romanoimpero.com/2019/03/salus-publica-populi-romani-concordia.html

[21] le dee create furono:  la Pax Augusta, – l’Equità – la Spes – la Salus- la Concordia- la Felicitas

[22] pensiamo a Tiberio, che lascia Roma in mano al Prefetto Seiano, che attuerà le Liste di Proscrizione, o di Nerone e la sua criticata etica…

[23] si veda per esempio: Enigmi di pietra. I misteri degli edifici medievali.di Helmut Lammer  Mohammed Y. Boudjada,  A. Manco (Traduttore) Edizioni Arkeios, 2005, pag.123; https://www.researchgate.net/publication/329371994_Nemesi_del_superuomo_nietzschiano. 

[24] “Nella teologia cristiana, la pietà è uno dei sette doni dello Spirito Santo, cioè una di quelle disposizioni abituali che qualificano il rapporto del credente con Dio[2], rendendolo capace di desiderare quello che Dio desidera, e raggiungere quella confidenza che gli permette di rivolgersi alla divinità chiamandola “padre”. Sebbene la pietà nel senso cristiano sia principalmente un attributo del rapporto del credente con Dio, essa lo dispone anche ad un atteggiamento di delicatezza e di rispetto verso il prossimo come un riflesso del sentirsi figli dello stesso padre[3].” (https://it.wikipedia.org/wiki/Piet%C3%A0_(teologia) )

[25] Comandamento dell’amore (Mt 22,37-40)

[26] https://www.lacooltura.com/2015/03/leopardi-schopenhauer-empatia/

[27] https://it.pearson.com/aree-disciplinari/italiano/approfondimenti-disciplinari/leopardi-affetto-dolcissimo-della-pieta.html