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La sicurezza e il pensiero cardiopatico: la poesia mutata in crudezza

Lorenzo Di Lauro

Nella raccolta di poesie La sicurezza e il pensiero cardiopatico emerge in modo netto, imprescindibile la figura dell’autore Vincenzo Calò, che ha forgiato un’opera di stampo surrealista che presenta chiari rimandi alla contemporaneità.

Vincenzo Calò

Edita da Bertoldi Editore nel 2020, la raccolta riesce a catturare l’attenzione del lettore già attraverso l’introduzione dell’opera, firmata dall’autore “ai miei demoni interiori, che si sono rincoglioniti alla ricerca di una via d’uscita.” I demoni a cui si riferisce il poeta vengono rappresentati in ciascuna poesia attraverso vari aspetti, che emergono in ogni verso con una crudità che lascia in ogni passaggio tracce indelebili nell’animo del lettore, tra rimandi alla dimensione onirica e la contaminazione con il mondo reale.

La raccolta si suddivide in due parti: La sicurezza, che prende il titolo dall’omonima poesia presente nella sezione, e Il pensiero cardiopatico: ambedue sono introdotte da citazioni di grande rilievo per l’autore. “Per capire la realtà bisogna abbassarsi come per baciare un bambino”, frase celebre pronunciata da Papa Francesco in occasione di un incontro con i bambini del Dispensario Pediatrico “Santa Marta” di qualche anno fa, introduce la prima sezione. Appare fin da subito lapalissiano l’accostamento tra l’onirico e il reale, che accompagna l’intera produzione poetica dell’autore.

Nonostante l’utilizzo frequente della prima persona (in alcuni componimenti declinata al plurale, soprattutto nella seconda raccolta) appare complicato riuscire ad ottenere un quadro chiaro di quello che l’autore intende esprimere attraverso i suoi versi. Emerge uno stile destrutturale, che non muta di una virgola neppure nella seconda sezione, Il pensiero cardiopatico, che viene introdotta da una citazione d’autore, tratta dal testo della canzone E pensare che c’era il pensiero di Giorgio Gaber.

E l’uomo che non ha più il gusto del mistero

Che non ha passione per il vero

Che non ha coscienza del suo stato

Un mare di parole

Un mare di parole è, come un animale ben pasciuto

La critica di Gaber, rivolta all’uomo che ha smarrito la propria essenza di persona, che non pensa, non riflette, si cura poco della proprio autonomia, viene ripresa da Calò in una vera e propria invettiva, che assume una dimensione ancora più sferzante proprio attraverso la crudezza dei versi.

Nella seconda sezione dell’opera è ancora più ampio il coinvolgimento del prossimo, che implica un richiamo alla collettività, che vive gli stessi problemi, anche se alcuni sembrano non curarsene.
Viene sottintesa (e in alcuni casi anche palesata) la denuncia del disagio, della disumanizzazione della società contemporanea, la precarietà della vita, del lavoro, la mala politica che incide in modo prepotente nelle nostre vite e che è artefice delle nostre condizioni. Calò non si riconosce in questa società e si scaglia contro i mezzi di comunicazione, spesso propagatori di disinformazione, attraverso versi che appaiono più decifrabili di altri:

Ci piace usare l’indifferenza allo scorrere dei telegiornali

Ricomincio a temere l’informazione …

L’utilizzo di un lessico volutamente scuro, che tende a distogliere il lettore attraverso immagini variopinte o accostamenti improbabili di argomenti, privilegia la dimensione semantica e musicale. L’autore non si preoccupa di fornire un messaggio limpido, ma di scagliare con ironia pietre aguzze che il lettore può afferrare o ricevere in faccia.
La lirica classica, privata di ogni peculiarità essenziale, cede il passo a una disordinata struttura ipotattica, scevra di rime, di versi di lunghezza eguale e dai variegati accenti, che denotano lo smarrimento dell’autore, in ricerca di una via d’uscita che non appare lampante.

L’opera conclusiva del percorso artistico di Calò ci pone dinanzi a degli interrogativi, a degli enigmi da interpretare, a degli elementi autobiografici che non sempre sono facilmente riconoscibili. Anche il finale dell’opera, attraverso le ultime poesie, si carica di un senso di consapevolezza e appare essere un perfetto commiato: nella poesia L’Indice alzato egli considera il pensiero cardiopatico, quello di cui ammette di essere caratterizzato, come perdente, che non può cambiare il mondo, non può invertire gli esiti di alcune situazioni. La sua consapevolezza diviene dunque impotenza, la sensazione che tra tutte emerge in modo palese dopo aver terminato la lettura dell’opera.

L’ultimo tocco di mistero è proposto con il ringraziamento finale dell’autore, che si congeda dal suo pubblico ringraziando l’anonimo santo protettore degl’imbalsamatori e destinando ai lettori una lirica che si offre al dibattito e a più di una semplice, superficiale analisi.

Vincenzo Calò, scomparso prematuramente nel 2022, ha lasciato il racconto dei suoi demoni interiori, nella tormentata ricerca di una verità che si è rivelata fin troppo complessa da analizzare e decifrare (“cerco la verità tra le tue melodie complicate dai segreti di un dato luogo”).