Lo scenario

L’arrivo della pillola abortiva in Giappone – un diritto ancora tutto maschile

di Nicolò Errico

Mentre un bastione cattolico come l’Irlanda legalizzava l’interruzione di gravidanza solo nel 2018, altri casi, come quello giapponese, mostrano come economie dinamiche, società tecnologicamente efficienti e socialmente pacifiche riescano a conservare forti tratti patriarcali e maschilisti, contrariamente all’idea che lo sviluppo economico in democrazia porti a maggiori progressi sociali. Una nazione che corre in termini tecno-economici, ma che resta ferma quando si tratta di diritti delle donne e questioni di genere.

Il 22 dicembre 2021 la compagnia farmaceutica inglese Linepharma ha annunciato di aver proposto alle autorità giapponesi l’introduzione nel mercato dell’isola – dopo test di successo – di una combinazione di due farmaci per indurre l’interruzione di gravidanza. L’aborto farmacologico, che prevede l’assunzione di mifeprestone e misoprostolo, è permesso in circa 70 paesi del pianeta, tra cui l’Italia, dove il mifeprestone è diventato noto al pubblico con la sigla RU486 a partire dalla sua entrata in commercio nel 2009. Vietato in pochi paesi dell’Unione Europea, con rare concessioni – come la Polonia, che ha una delle legislazioni più restrittive in materia di interruzione di gravidanza –, l’aborto viene costantemente demonizzato dalle destre e dalle associazioni religiose e pro-vita che cercano di ostacolare l’utilizzo di pratiche abortive anche quando il quadro legale lo permette. Con grande anticipo su altri paesi, in Giappone l’aborto chirurgico è stato reso legale nel 1948. Per effettuarlo, però, è tuttora necessario tuttora un documento che certifichi il consenso di entrambe le persone coinvolte [1].

Il Parlamento giapponese è stato chiamato così ad affrontare un nodo irrisolto dei diritti delle donne, di cui la politica dell’isola orientale non si è mai curata troppo. Il diritto all’aborto farmacologico nel paese è stato fino ad oggi reso impossibile, ma la legge che ne vieta l’utilizzo sta per cambiare. Una simile notizia farebbe gioire gli attivisti dei diritti civili, ma la nuova legislazione è uno schiaffo sonoro alla lotta per la liberta dell’interruzione di gravidanza.
Infatti pare che il Parlamento applicherà la stessa regola dell’aborto chirurgico a quello farmacologico: sarà sempre necessario il consenso del partner per interrompere la gravidanza. Con questo gesto non solo viene negata la libertà del corpo per le cittadine giapponesi, ma anzi essa viene consegnata nelle mani dei partner maschili.
Nel 2021 una cittadina giapponese di 21 anni è stata arrestata dopo il ritrovamento, da parte della polizia, di un feto espulso per aborto in un parco. Il processo è tuttora in corso, ma la giovane ragazza ha dichiarato che il suo gesto è stato dettato dalla disperazione per l’impossibilità di ottenere il consenso del compagno per l’aborto chirurgico. Ostaggi dei partner maschi, le donne che non desiderano proseguire la gravidanza sono costrette a mettere a rischio la propria vita con pratiche pericolose e senza supervisione medica. La non procreazione è un diritto come tutti gli altri, e privare una categoria specifica di persone – le donne – di questo diritto equivale a tortura e a prigionia, sostengono attivist* per i diritti in Giappone.

Secondo le statistiche, l’aborto è largamente accettato dalla popolazione femminile del paese e viene praticato su vasta scala (ultimo dato rileva 145.000 nel 2020, in calo rispetto al passato).

Quando questa legge restrittiva e maschilista passerà, in pochi saranno sorpresi.
Il Giappone è una delle società con gli indici peggiori in termini di pari opportunità ed inclusione femminile. A confermarlo è il rapporto del World Economic Forum [2] intitolato “Global Gender Gap 2021”[3]. Il documento viene pubblicato dal 2006 ogni anno. Si attendono i risultati per il 2022. Il Global Gender Gap Index è un indice creato per calcolare l’uguaglianza di genere (gender equality) ed utilizza indicatori che misurano le differenti possibilità di accesso a risorse ed opportunità di un paese tra cittadini maschi e femmine.
Nel rapporto il Giappone si trova in fondo alla classifica al 120º posto su 156 stati presi in considerazione. Le donne elette in un Parlamento di 456 membri sono solo 45 e, nonostante le promesse dei governi del nuovo millennio, pochi sono stati i progressi verso l’inclusione e la diminuzione del divario di genere tra le cittadine ed i cittadini giapponesi. L’occupazione femminile nel mondo del lavoro, sempre dai dati del rapporto, è alta (72%), ma per lo più concentrata su lavori part-time (il doppio rispetto ai colleghi di sesso maschile), con scarsa presenza in posizioni di rilievo [4].
Salvo alcuni indicatori positivi – come l’assenza di gender gap nell’educazione primaria -, la società giapponese rimane legata ad una visione della donna come madre e casalinga.
Secondo lo stesso rapporto, l’Italia si trova al 63º posto. Se si osserva la situazione più da vicino, il panorama in termini di gender gap muta radicalmente tra Nord e Sud Italia, specialmente quando si tratta al mondo del lavoro. Se la media europea è un’occupazione femminile di circa il 60%, quella italiana è circa 50%, con picchi oltre il 60% nell’Italia settentrionale e valori minimi attorno al 30% (Campania, Calabria, Sicilia, Puglia). Nel 2020 queste quattro regioni erano le peggiori dell’intera Unione Europea in termini di occupazione femminile, seconde solo alla Mayotte – regione insulare francese tra il Madagascar ed il Mozambico [5].

Il caso giapponese è emblematico poiché dimostra che, a differenza di come viene propinata da grandi forum internazionali e politici, la crescita economica di una grande democrazia pacifica non è sempre accompagnata da una modernizzazione della società. India e Cina, economie rampanti del nuovo millennio, non stupiscono: da una parte un sub-continente di granitiche tradizioni religiose e conflitti eterni, dall’altra una dittatura totalitaria che ha sempre legiferato sul corpo delle donne in modo brutale – esempio lampante è la politica del figlio unico, durata dal 1979 al 2015, causando centinaia di migliaia di aborti indesiderati [6].
La paura che il crollo delle nascite nell’isola [7] porti ad ulteriori restrizioni a discapito dell’aborto e di altri diritti è giustificata se si considera l’enorme peso che maschilismo e patriarcato hanno tuttora sulla società e politica giapponese [8].

Le parole di Kumi Tsukahara, fondatrice dell’associazione per il diritto all’aborto Action for Safe Abortion Japan, portano un’ironica riflessione finale dal sapore amaro. L’attivista, parlando al The Guardian [9], fa notare infatti come nella politica giapponese ci siano voluti ben quarant’anni per legalizzare l’aborto farmacologico – previo consenso del partner – da quando è diventato realtà, ma solo sei mesi per approvare il Viagra nel 1999. Tutto, come sempre, a beneficio della popolazione maschile.


[1] Si rimanda a diversi articoli per ulteriori approfondimenti, tra cui Abortion in Japan is legal, but most women need their husband’s consent – The Washington Post e Japan to approve abortion pill – but partner’s consent will be required | Japan | The Guardian

[2] Si tratta di un’organizzazione internazionale indipendente non-governativa, formata da circa 1.000 compagnie private, che si occupa di temi legati allo sviluppo economico e sociale. Sito ufficiale: The World Economic Forum (weforum.org)

[3] WEF_GGGR_2021.pdf (weforum.org)

[4] Per un efficace riassunto del rapporto del WEF si rimanda all’articolo Women’s Rights in Japan – The Borgen Project

[5] Occupazione femminile, quattro regioni del Sud tra le peggiori d’Europa- Corriere.it (dati del 2021)

[6] Sulla One child policy cinese segnaliamo il sorprendente documentario di Nanfu Wang e Jialing Zhang, intitolato One Child Nation (2019)

[7] Clinamen ha pubblicato un articolo sull’argomento. Link: Il Giappone e il crollo delle nascite nel mondo – Clinamen (periodicoclinamen.it)

[8] Nel 2013 il politico giapponese Seiko Noda, una donna, aveva proposto il divieto assoluto di aborto per contrastare il crollo delle nascite. Link: Japanese politician wants to boost the national birthrate by banning abortion – The Washington Post

[9] Japan to approve abortion pill – but partner’s consent will be required | Japan | The Guardian