Oltre il confine

L’assurdo sotto al cappotto

di Filippo Zecca

Quando nella mente di uno scrittore inizia a prendere vita una storia, molto spesso accade che tale trama inizi via via a rivestire inaspettatamente temi ed ambiti sempre più dettagliati, focalizzando la propria attenzione su tematiche precise che tendono a rivolgersi strettamente al bacino di lettori a cui l’opera è rivolta. Questo è ciò che accade, nella maggior parte dei casi, nella mente di uno scrittore ordinario. La mente dello scrittore russo Nikolaj Vasil’evič Gogol’ di ordinario ebbe ben poco. Il Cappotto è uno dei cinque racconti ambientati dall’autore russo a Pietroburgo. Concepito nel 1934, abbozzato nel 1939 e pubblicato per la prima volta nel 1942, fa parte della raccolta postuma Racconti di Pietroburgo.

L’opera nella sua originalità trascende ogni tipo di stilema convenzionale: narra “le gesta” di un comunissimo impiegato d’ufficio di nome Akakij Akakievič nella fredda ed uggiosa metropoli russa, e la sua spasmodica e vana ossessione amorosa nei confronti di un cappotto. Un amore prima idealizzato, poi oggettivizzato, in seguito ottenuto e infine perduto è quello nutrito dal protagonista nell’opera. Il sentimento che muove l’uomo, nello scorrere delle pagine, rimane celato, fino a quando nel finale, come una tipica matrioska russa, l’intero intreccio del racconto si chiude nella sua ciclicità. La struttura – ciclica per l’appunto – offre a Gogol’ il perfetto espediente per comporre un’opera fredda, cupa e chiusa ma che al tempo stesso riesce a toccare le maggiori preoccupazioni che attanagliano tutti gli uomini, comuni e non nel corso della loro vita.

Stolto è il lettore che accingendosi alla lettura, ricerchi ne Il Cappotto di Gogol’ una soppesata e sarcastica critica alla burocrazia russa ottocentesca; stolto è il lettore che va ricercando nella medesima opera un racconto buffo, bizzarro che faccia ridere e che tratti di amori e di fantasmi. Il racconto non fa né per i lettori troppo esigenti, cioè per coloro che ingurgitano pagine e pagine con la cattiva abitudine di doverci riflettere su in un modo quasi oltraggioso, né tantomeno per i lettori superficiali, quelli che noteranno esclusivamente il comico e l’esoterico che vi è nell’opera. Il lettore di Gogol’, ossia il  lettore ideale de Il Cappotto è quello creativo, dinamico, che sappia immedesimarsi appieno nell’autore russo e che abbia al tempo stesso la capacità di scardinarne i meandri più languidi ed ingegnosi della mente, perché in fondo, è proprio di questo che si tratta:  ribrezzo ed orrore della vita che aizza il lettore, portando la sua lettura a vette di interesse per le l’orrido passa in secondo piano – o perlomeno non provoca la stessa sensazione – e viene condotta un’indagine esistenziale, propria di tutti gli uomini.

Gogol’ è lo scrittore del futile, del marginale. I suoi personaggi, i suoi schemi narrativi, le sue trame apparentemente non hanno nessuna utilità. La sua fantasia è inutile, ma in compenso è pura, è slegata da qualsiasi secondo fine e ricerca unicamente il genio creativo. “La fantasia è fertile solo quando è futile” dirà Nabokov a proposito dello scrittore russo. La sua arte del creare è un processo demiurgico: lui plasma la sua trama, trasformando questi scenari assurdi in momenti catartici che toccano la vita di noi tutti.

Questa sua apparente complessità è stata molto spesso fraintesa, ed il genio creativo di Gogol’ è stato mal interpretato, vista semplicemente come una sorta di critica realista alla società russa. Tale aspetto si ritrova non solo nei racconti, ma anche nel suo romanzo più importante Anime morte (1842), dove più critici hanno voluto vedere una minuziosa e dettagliata cronaca quasi giornalistica della situazione, in cui le campagne russe versavano pochi anni prima dell’abolizione della servitù della gleba del 1861. Anche in questo caso parlare di realismo è errato: un racconto realista presuppone una testimonianza in prima persona, o che perlomeno, l’autore del racconto, abbia esperienze dirette con il mondo che si impegna a raccontare, che ne faccia parte o che addirittura ne sia figlio, cosa che Gogol’ non è. Lui e le fredde campagne russe condividono soltanto pochi momenti, poche ore in una locanda, una settimana circa a Kursk; per il resto, ricordi di una gioventù prevalentemente ucraina ed albe e tramonti osservati dalla sua vettura nei suoi continui spostamenti.

Tutta la raccolta dei racconti ricalca proprio questo scenario. Trame, situazioni e personaggi che rasentano il comico o l’assurdo. Ma in quale modo e in che termini ci è concesso parlare di assurdo in Gogol’? Intanto, è bene sottolineare come l’assurdo di Gogol’ abbia una forte componente drammatica, quasi tragica. Akakij Akakievič è un personaggio apatico, sovrastato dalla vita e che affida la propria ragione di esistere in un cappotto, che peraltro viene rubato la stessa sera in cui viene indossato per la prima volta. Così lui muore di dolore e dal freddo nel vano tentativo di riappropriarsi dell’indumento ed il suo fantasma continua a vagare per le strade di Pietroburgo alla ricerca sempre dello stesso cappotto. L’assurdità in un primo momento sembra proprio riferirsi all’intreccio, a come una trama inizialmente lineare, verso il finale dell’opera, tenda a curvare verso il fantastico. In realtà, da una lettura più attenta, possiamo notare come ad essere assurdo non sia solo il nostro comune protagonista, ma in realtà l’intero mondo costruito su misura da Gogol’ per lui che, nella parte inziale del racconto – quando Akakij si impegna a racimolare denaro, quando il protagonista conserva ancora la sua forma umana per intenderci – non è altro se non che l’habitat ideale per lo svolgimento delle sue azioni.

Contrariamente, quando l’impiegato assume la forma di fantasma, lo stesso mondo che lo ha generato, che ha permesso a lui stesso di assumere certi comportamenti e di dare vita alla trama stessa dell’opera, sembra a questo punto stargli stretto. Paradossalmente i comportamenti di Akakij Akakievič sono meno assurdi quando è fantasma rispetto a quando è uomo. È Akakij fantasma a ridicolizzare Akakij uomo, a far venir fuori la sua componente non più assurda ma patetica, dal momento che a questo punto qualificare “assurdo” il prodotto di un ambiente di per sé “assurdo”, sarebbe abbastanza inappropriato. Nel racconto vi è coerenza tra protagonista, spazio e tempo. È l’elemento fantastico verso il finale a rovesciare le carte in tavola, a trasformare un racconto permeato da assurdità in un racconto patetico.

Il processo che porterà all’acquisto del cappotto, rappresenta sia il punto d’avvio della vestizione effettiva di Akakij Akakievič, ma al tempo stesso l’incipit della svestizione della sua forma umana. Patetico è il nostro protagonista nel momento in cui, pur di risparmiare denaro per potersi permettere l’acquisto dell’indumento, inizia a camminare in punta di piedi per consumare quanto meno possibile la suola delle scarpe. Così il fantasma, che vaga bramoso alla ricerca del cappotto perduto per le vie di una sporca Pietroburgo, non è altro che la parte più tangibile ed umana di Akakij Akakievič. Un aspetto interessantissimo è analizzare come il patetico di Gogol’ non rivesta esclusivamente i comportamenti ma anche la condizione esistenziale umana, le sofferenze e le passioni; ed è quasi così, che per una sorta di contrasto secondario un uomo patetico quale un semplice impiegatuccio si perde nella sua parte inconscia più recondita, in un contesto sociale assurdo in cui viene incessantemente preso di mira.

Da questa prospettiva possiamo notare come la genialità di Gogol’ oltre che nella trama stia nella struttura stessa dell’opera. La prosa dell’autore russo è tridimensionale, composta da differenti linee guida apparentemente parallele, ma che spesso nel finale finiscono per incrociarsi in un unico punto. E così il tutto pare dispiegarsi in un modo quanto più chiaro possibile.

Naturalmente pare quasi ovvio e scontato porsi una domanda: cosa rappresenta il cappotto per Akakij Akakievič? Sicuramente, l’indumento non rappresenta un tentativo di scalata sociale da parte del protagonista, assoggettato dalle scarse considerazioni che colleghi e superiori nutrono nei suoi confronti; anzi pare quasi che lui effettivamente di tali beffe ed ingiurie non se ne curi minimamente. A testimonianza di ciò basti pensare come ad Akakij inizialmente non interessi assolutamente l’acquisto di un cappotto nuovo, anzi cerca a più riprese di farsi riparare il vecchio, a detta del sarto irrecuperabile. Sembra proprio che lui si trovi quasi costretto ad acquistarne uno nuovo per diniego di quest’ultimo. L’unica necessità che preoccupa effettivamente Akakij è ripararsi dal freddo gelido di Pietroburgo, è questo ciò che lo spinge ad acquistare un cappotto nuovo.

Pur essendo un racconto, possiamo notare come Il Cappotto abbia differenti spunti di riflessione ed una valenza tematica non indifferente. “Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol” dirà un altro grande della letteratura russa, Fëdor Dostoevskij, indicando proprio il debito che tutta la generazione di autori successivi aveva contratto nei confronti di Gogol’, autore che come non mai ha diviso la critica e che ha dato il via a quella corrente definita “realismo socialista”. Alcuni hanno interpretato la sua opera come un punto di partenza del “filantropismo”, altri hanno voluto leggere nelle pagine del racconto una sperimentazione ed un gioco volto all’ironia, ma come già accennato, all’inizio, si consiglia a queste due diverse tipologie di lettori di tenersi alla larga da Gogol’. È da considerarsi anche quello che è il fenomeno della letteratura russa, una letteratura vasta e densa, se si rapporta la sua estensione al numero di capolavori prodotti. Basti pensare come nel corso di un secolo, mancando una valida tradizione letteraria, i diversi autori russi abbiano prodotto opere dalla caratura letteraria che non hanno nulla da invidiare alla letteratura francese o inglese, che affondano la loro origine in tempi molto più remoti.

Leggere oggi Gogol’ è fortemente consigliato, se si ama un tipo di letteratura disinteressata, quella che non sottostà né a leggi di mercato, né tanto meno si pone come obbiettivo quello di impartire insegnamenti di vita moraleggianti. L’opera si rivolge al lettore che ama la letteratura nella sua autenticità, esclusivamente nel suo gioco divino di creazione e di immedesimazione dell’autore con il mondo che la sua stessa mente crea.  È questo quello che fanno i grandi lettori: immedesimarsi nella mente di chi ha concepito l’opera, non in quelle dei personaggi rappresenti. Così Gogol’ guarderà dentro ad ognuno di noi più di quanto noi possiamo fare attraverso le sue pagine.