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Le antenate e i diritti negati: la coscienza in un libro d’arte

Renato DE CAPUA

Il passato è una somma di cose, luci intermittenti nella notte, immagini dai contorni poco nitidi, foto in bianco e nero in un cassetto; a volte è polvere da rimuovere per rischiarare i punti in cui prolifica l’oblio; talvolta è una certezza, un punto fermo, la premessa del nostro incedere, la mano tesa di chi ha preceduto i nostri passi, quasi una promessa di speranza per il presente e il tempo che verrà. Ricordare il passato è un antidoto per curare la dimenticanza e lì dove lo sguardo non si sofferma e si muove rapido per altre vie, un libro può far ancora chiarezza. “Rame” (Sfera edizioni, 2024) è il nuovo progetto personale di Maria Donata Bologna, visual designer nel settore della comunicazione culturale, di origini siciliane e residente nel Salento. L’opera, attualmente in mostra presso il “FARM Cultural Park” di Favara (AG) fino a giugno 2025, è un libro d’artista, interamente stampato e imbastito a mano. Sette fotogrammi in bianco e nero illustrano lo sguardo di sei donne appartenenti alla famiglia dell’autrice, rispettivamente la bisnonna, le nonne, la madre e poi la stessa Maria Donata Bologna e la piccola figlia Alice. Il termine “rame” che solitamente associamo a un elemento chimico, nel dialetto siciliano significa “stirpe”; una connotazione semantica diversa disegna un albero della vita tutto al femminile, che restituisce l’urgenza narrativa di porre l’accento sul difficoltoso cammino che moltissime donne hanno dovuto affrontare per il riconoscimento dei propri diritti in anni non troppo lontani della storia contemporanea. Ognuna a proprio modo, all’interno degli scatti, guarda in avanti, quasi a voler instaurare un’interlocuzione con l’altro.

“Rame” (Sfera edizioni, 2024),
Maria Donata Bologna

Il filo rosso che lega le vite di queste donne, oltre al dato puramente genealogico, è l’essere state parte di alcuni momenti precisi della storia d’Italia, avendo potuto vivere direttamente la battaglia a viso aperto tra le rivendicazioni delle donne per l’equità sociale e una società di stampo prettamente patriarcale, che dava adito ad atteggiamenti fortemente discriminatori, costringendo la maggior parte di esse a non avere altra possibilità di scelta, nell’interazione con il proprio corpo, nel nome, sulla possibilità di stringere un sogno tra le mani. «Esistono due livelli di lettura in “Rame” – dichiara Maria Donata Bologna-. Il primo è un’operazione artistica mediante cui l’arte cerca di raccontare un immaginario, partendo dall’utilizzo dell’archivio fotografico personale della mia famiglia. La seconda chiave di lettura vuol essere una pratica di denuncia sulle limitazioni discriminatorie cui le donne sono state soggette in alcuni anni della storia d’Italia. Tutte le donne della mia famiglia- aggiunge- hanno dovuto rinunciare a una parte di loro stesse, perché la società non permetteva loro di gestire autonomamente la propria vita, dal proprio corpo alla sfera personale». Così la bisnonna Grazia (nata nel 1918) ha conosciuto l’Italia prima del 1948, anno in cui viene garantita l’equità dei diritti tra uomo e donna e prima del 1945, quando il Codice Civile riconosce ufficialmente il diritto di voto alle donne. Nonna Maria (classe 1925) ha vissuto prima del 1963, rischiando di poter essere licenziata a causa del matrimonio e non potendo accedere a tutti i tipi di professione al pari degli uomini. E ancora, mamma Maria Pia (classe 1956) ha dovuto attendere il 1978 per poter vedere legalizzati l’aborto e il divorzio e il 1981 per quanto riguarda il delitto d’onore. Anche l’autrice ha potuto toccare con mano un presente ancora in corso di costruzione: solo nel 1996 il reato di stupro è riconosciuto come delitto contro la persona; altri approdi riguardano tempi recentissimi: dal 2016 è possibile tramandare ai figli anche il cognome della madre e solo dal 2022 l’imposizione del cognome paterno viene considerata illegittima. «Sono partita pensando- racconta l’autrice- che la storia e la condizione di queste donne mi avessero sottratto una possibilità. Alla fine di tutto mi sento arricchita: le loro piccole azioni di lotta, il loro riscatto, mi hanno consentito di essere quella che sono adesso». Il passato è allora un dono del tempo, la testimonianza della nostra storia. L’ultimo fotogramma è affidato ad Alice, di soli 9 anni, la piccola figlia di Maria Donata. Seduta su un’altura guarda il paesaggio. I suoi occhi guardano dritti al futuro, che si staglia incerto all’orizzonte. Nuove pagine attendono di essere scritte. Il passato non è poi così lontano e non può esistere un domani senza serbarne la memoria.

[Articolo apparso sul “Nuovo Quotidiano di Puglia”, 01-08-2024, tutti i diritti sono riservati]