Oltre il confine

L’uomo sdoppiato: la tematica della metamorfosi in Robert Louis Stevenson

di Lorenzo Plini

Nel 1885 lo scrittore scozzese Robert Louis Stevenson è insieme alla sua famiglia nella soleggiata Bournemouth – sud dell’Inghilterra – nella casa donata loro dai genitori della moglie e ribattezzata “Skerryvore House”. È costretto a stare lì a causa della sua salute spesso cagionevole, eredità scomoda del ramo della famiglia materna, soggetti a malattie ai polmoni. Nonostante il successo frutto del romanzo L’isola del tesoro (1883), non sono buone le condizioni economiche dello scrittore e della sua famiglia. È in questo contesto che nasce Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde – scritto nel giro di poche settimane – pubblicato sul finire dello stesso anno all’interno di una collana di racconti thriller, poi nel 1886 come romanzo.

La storia si districa nelle strade della Londra contemporanea allo stesso Stevenson, anche se all’interno del romanzo le date non vengono mai specificate. Proprio fra quelle strade passeggiano l’avvocato Utterson e suo cugino Enfield, che di fronte ad un edificio racconta di un episodio spiacevole in cui è stato coinvolto. Una tarda notte, mentre rincasava, all’angolo di una strada vede un uomo e una bambina scontrarsi, e l’uomo non curante dell’accaduto continua il suo cammino schiacciando la bambina rimasta a terra. Lo stesso Enfield rincorre e ferma l’uomo, verso cui prova fin subito una sensazione sgradevole, un misto di ripugnanza e paura. Nonostante ciò riesce a convincere l’uomo – Edward Hyde – a risarcire economicamente la famiglia della bambina: costui però si presenta con un assegno firmato dal dottor Henry Jekyll, amico stretto dell’avvocato Utterson. Lo stesso avvocato è il custode del testamento del dottor Jekyll, leggendolo scopre che in caso di morte del dottore, tutti i suoi averi finirebbero proprio al misterioso Edward Hyde. Nonostante la lunga amicizia che li lega, Utterson non sa nulla a riguardo al signor Hyde, descritto nel testamento come “amico e benefattore”. L’avvocato decide così di parlarne con un amico in comune, il dottor Lanyon, ma anche lui non conosce il signor Hyde. La soluzione è quella di vedere con i proprio occhi il signor Hyde, e Utterson ci riesce in una notte serena e gelida mentre il signor Hyde rincasava, ma quell’incontro lo turba profondamente. Utterson si dirige subito verso la casa del dottor Jekyll: lì scopre dal maggiordomo che il dottore non è in casa e che vede spesso Edward Hyde entrare ed uscire dal laboratorio del suo padrone attraverso un’entrata secondaria. Settimane dopo, durante un pranzo, Utterson chiede a Jekyll del signor Hyde: il dottore cerca di rassicurarlo, anche se non può raccontargli di più, afferma di potersi liberare di Edward Hyde in qualsiasi momento. Le acque sembrano calmarsi, almeno sino ad un efferato omicidio. La vittime è il rispettabilissimo sir Danvers Carew, il carnefice viene riconosciuto proprio in Edward Hyde da una cameriera, che da una finestra che guarda sulla strada ha assistito all’omicidio avvenuto con un bastone di legno. È lo stesso avvocato Utterson a condurre la polizia a casa di Hyde, dove viene ritrovato un pezzo dello stesso bastone usato per l’omicidio. Allora Utterson si reca da Jekyll, il quale alla luce dei fatti, afferma di non volerne sapere più nulla di Edward Hyde, e che ha ricevuto una lettera da quest’ultimo fatta arrivare a casa sua da un uomo. Ma l’avvocato scopre che nessun uomo ha consegnato quella lettera, e che la grafia del signor Hyde è quasi identica a quella del suo amico Jekyll. Nonostante la taglia sulla sua testa, si perdono le tracce di Edward Hyde, mentre Henry Jekyll riprende una vita normale e serena. Ma tutto questo dura solamente pochi mesi, poi il dottor Jekyll ricade nella vita solitaria rinchiuso all’interno del suo laboratorio. Utterson decide così di recarsi dal dottor Lanyon per parlare del loro amico in comune, ma lo aspetta una brutta sorpresa: in salute fino a qualche giorno prima, dopo un incontro con Jekyll il dottor Lanyon appare ora invecchiato e malato. Lanyon non vuole nemmeno sentir parlare del dottor Jekyll, e qualche giorno più tardi muore. Una sera dopo il funerale, a casa di Utterson si presenta il maggiordomo di Jekyll, che implora l’avvocato di seguirlo a casa del suo amico: Jekyll si è chiuso nel suo laboratorio da alcuni giorni, chiede alla servitù di comprare uno strano sale, ma la cosa peggiore è che la voce che proviene dall’interno del laboratorio non sembra nemmeno quella del dottor Jekyll. Alla fine Utterson e il maggiordomo riescono a sfondare la porta del laboratorio: dentro trovano il corpo senza vita di Edward Hyde, che si è suicidato con del cianuro. Nel laboratorio trovano anche una busta proprio per Utterson, che doveva leggere solamente dopo aver letto un’altra busta che il dottor Lanyon aveva lasciato sempre per lui.

Quello di Stevenson con le sue ambientazioni notturne, l’uso della nebbia, il senso d’angoscia che si avverte sin dalle prime righe, è un romanzo gotico tipico del diciannovesimo secolo. Ma c’è molto di più. Innanzitutto c’è la tematica della metamorfosi: se per metamorfosi si intende la trasformazione di un essere in un altro di natura diversa, come in una farfalla c’è ben poco del bruco, anche in Henry Jekyll c’è ben poco di Edward Hyde. Il primo ha cinquant’anni, volto fresco, fisico robusto e ben fatto; Hyde viene descritto come un uomo di Neanderthal, basso e pallido, voce rauca, sorriso ripugnante e deforme. La trasformazione avviene attraverso spasmi dolorosissimi e grazie ad un siero, un qualche intruglio chimico ideato dallo stesso dottor Jekyll. Ma perché Henry Jekyll dovrebbe creare e provare su sé stesso questo siero? E chi è Edward Hyde? Robert Louis Stevenson si dimostra un precursore dei tempi, perché anticipa la teoria freudiana dell’Es, dell’Io e del Super-Io. In questo romanzo lo scrittore ammette la possibilità che la natura umana non sia unica, che all’interno dell’uomo ci sia una parte buona e una parte malvagia, strettamente legate fra di loro, quasi dipendenti l’uno dall’altra. E’ la teoria del “doppio”, o doppelgänger. Ogni individuo possiede questa doppia natura, ma l’educazione e l’ambiente in cui viviamo sono fattori che finiscono per far protendere una parte a scapito dell’altra. Proprio come più tardi in Sigmund Freud, l’uomo rimane condizionato – sia internamente sia esternamente a sé stesso – dalla società nella quale vive. La società nella quale vive Stevenson, e che ci descrive nel suo romanzo, è quella vittoriana, una società piena di contraddizioni: una forte moralità e un opinione pubblica che aveva nell’apparenza e nella rispettabilità i propri principi fondanti; invece, nelle famiglie vigeva una repressione sessuale contro altare di una prostituzione dilagante.

Il dottor Jekyll, dopo aver scoperto l’altra parte che alberga all’interno dell’uomo, rimane sedotto dalla possibilità di poter vivere libero dalle convenzioni sociali e morali, dal suo stile di vita troppo austero e rigido che avverte come opprimente. Ma il suo siero non fa altro che liberare Edward Hyde, il suo doppio malvagio, dalle catene. Ogni volta che avviene la metamorfosi, Hyde acquisisce sempre più coscienza di sé, la sua volontà diventa sempre più forte, e anche il suo fisico sembra beneficiarne, anche se le deformità e la ripugnanza non lo abbandonano. Questo porta il dottor Jekyll ad avere sempre più bisogno del suo siero per poter ricacciare Edward Hyde nei meandri del subconscio. Inoltre Jekyll ha i ricordi di Hyde e sente sempre più la sua anima corrotta dalle efferatezze e dalle azioni malvagie che compie il suo doppio quando costui è cosciente. La situazione diventa ben presto critica, soprattutto quando il dottor Jekyll non riesce più a reperire il particolare sale che gli è necessario per continuare la produzione del suo siero. Nella paura che il malvagio Edward Hyde potesse prendere definitivamente il sopravvento su di lui, il dottor Jekyll decide di sacrificarsi e di suicidarsi, fermando così anche il signor Hyde.

La metamorfosi descritta da Stevenson rispecchia una forte tendenza, che proprio in quel periodo conosceva forse la sua massima influenza: il darwinismo. Edward Hyde descritto come una sorta di troglodita, senza regole né una morale, è più vicino ad essere un rappresentante dello scalino evolutivo precedente all’uomo sapiens, più che ad un vero e proprio malvagio consapevole delle sue efferatezze.