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Ma Rainey’s Black Bottom: il blues come stile di vita

Alfonso Martino

Rivedere sullo schermo – purtroppo della tv e non della grande sala – un personaggio interpretato da Chadwick Boseman mi riporta alla mente quella mattina di agosto dello scorso anno, al momento in cui i principali organi di informazione riportavano la notizia della sua scomparsa all’età di 44 anni, trasmettendomi una forte malinconia per un attore che, dopo Black Panther e Da 5 Bloods, poteva trasmettere ancora tante emozioni.

In Ma Rainey’s Black Bottom, pellicola prodotta da Netflix e diretta da George C. Wolfe, Boseman e Viola Davis (Le regole del delitto perfetto) si dividono la scena, dove il primo interpreta Levee, un trombettista talentuoso e dalle alte aspirazioni, mentre la seconda veste i panni di Ma Rainey, la madre del blues.

Il film si apre con una panoramica sulla nascita del blues nel 1922, genere creato dai neri e inizialmente suonato in posti frequentati dagli stessi, fino ad arrivare al 1927, anno in cui queste sonorità arrivano ai bianchi, i quali attuano atteggiamenti discriminatori nei confronti della comunità nera, specialmente nel Nord America.

Chicago non fa eccezione ed è proprio nella metropoli che si svolge la vicenda.
Il regista concentra la messinscena in uno studio di registrazione, in cui Ma Rainey e la sua band si ritrovano a condividere lo stesso spazio lavorativo. Come accade in Una notte a Miami di Regina King, Wolfe analizza la tematica razziale non solo dal punto di vista usuale, ma scavando nella stessa comunità nera, come in una delle sequenze in cui Levee e il pianista Toledo si confrontano: <<Nessuno parla di come rendere migliore la vita delle persone di colore. La gente di colore pensa solo a spassarsela>>, dice il secondo.

Boseman si prende la scena in due occasioni, in cui fa emergere il passato burrascoso di Levee attraverso monologhi toccanti e comprendere allo spettatore la sua voglia di arrivare ai bianchi con il suo talento. La sua interpretazione è stata premiata nella notte di lunedì 1° marzo con il Golden Globe.

La visione del trombettista stona con quella di Ma Rainey, poiché la madre del blues vede la sua musica come mezzo per comprendere la vita, mentre Levee scrive le sue canzoni per svuotare la mente dai pensieri del quotidiano. La cantante è caratterizzata da vestiti sgargianti e dal possesso di macchine di lusso, volti ad ostentare il suo status di donna privilegiata in una società fortemente razzista.

Anche qui, come nel film della King citato in precedenza, viene criticata l’ipocrisia dell’entertainment americano, che venera l’individuo di colore solo quando è talentuoso. <<Se sei di colore e gli fai fare soldi allora sì che vai bene!>> afferma la cantante, riferendosi ai discografici che stanno registrando il suo ultimo lavoro.

Nella scena finale della pellicola, il regista mostra in maniera ancora più chiara questa ipocrisia, in cui è Levee a vestire i panni della vittima e a non veder riconosciuto il suo lavoro. Ciò che invece è ampiamente riconosciuto è il talento di Viola Davis e di Chadwick Boseman, i quali lotteranno entrambi per gli Academy Awards di quest’anno.