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Nell’orrore della guerra: la paura

di Alessandra Macrì

“Nell’orrore della guerra l’orrore della natura: la desolazione della Valgrebbana, le ferree scaglie del Montemolon, le cuti delle due Grise, la forca del Palalto e del Palbasso, i precipizii  della Fòlpola: un paese fantastico, uno scenario da Sabba romantico, la porta dell’Inferno.[…]”[1].

L’incipit del racconto La Paura di Federico De Roberto, introduce la “trama” di una guerra, come tutte le guerre, insensata un’ “inutile strage”[2]. Il tenente Alfani  “ a pugni stretti, fremente fissava la piazzola. Mai in due anni di guerra, sotto il grandinare della mitraglia, fra le messi sanguinose degli  uomini falciati a manipoli, a schiere,  egli avrà provato il raccapriccio che ora lo invadeva dinanzi a quella lenta, metodica e inutile strage”[3]. L’ufficiale deve mandare uno dei suoi uomini a coprire una posizione di vedetta rimasta sguarnita. A turno, secondo l’ordine stabilito, i soldati tentano così di raggiungere la postazione ma vengono uccisi uno dopo l’altro da un cecchino dell’esercito nemico, cosicché poco per volta i superstiti vengono sopraffatti da un sentimento: la paura
I soldati non volevano eseguire l’ordine impartito  “taciti, immobili, agghiacciati”, Morana  era un prode, un veterano d’Africa, aveva il petto fregiato di medaglie, ma improvvisamente, il soldato fu preso da tremore che dalle mani e dalle braccia si diffuse in tutta la persona,  è  paura che si impossessa del soldato Morana. Alfani chiede: “«Ma cos’è?… Hai paura?… Anche tu?». Gli occhi smarriti, le labbra paonazze dicevano di sì, che egli aveva paura, tanta paura, una paura folle, ora che non si doveva combattere in campo aperto, ora che l’orrida morte era accovacciata lassù. E la pietà, una pietà impotente, tornò ad invadere il cuore dell’ufficiale dinanzi a quell’uomo che la legge della guerra gli dava il diritto di uccidere.”[4]

La paura di De Roberto è quella che provano i soldati dinanzi alla scelta insensata di morte  ingiustificata, con i soldati che cadono uno dopo l’altro: “Animo Zocchi tocca a te”[…]. La paura era nel suo sguardo tremulo, nelle sue labbra pallide, nei suoi ginocchi che si piegavano, nella mano che pareva sul punto di abbandonare il fucile”. E Alfani lo conosceva anch’egli, il brivido tremendo dinanzi al pericolo certo, presente, inevitabile”[5].
Alfani sprona i soldati ad uscire con parole benevole e di incoraggiamento facendo leva sul loro Valore. L’ultimo dei soldati prescelti per la missione è Morana che però rifiuta il compito assegnato: «Be’, Morana: questa è la volta di far vedere come si compie il proprio dovere.» Il destino doveva compiersi inesorabile. ”Senza lasciare con gli occhi gli occhi del superiore, il soldato rispose: «Signor tenente, io non ci vado.» Alla prima, Alfani credette d’aver frainteso. «Cos’hai detto?». Livido, Morana rispose, più forte :«Signor tenente, io non ci vado.»[…].
Alfani avvampò. Appuntandogli un dito contro il viso terreo e avanzandosi d’un passo, esclamò:
«Tu?… Sei tu che ti neghi?… Un valoroso come te?… O non sei più il Morana del Passo dell’Antenna e del Casello di Breno? O non sei più quello che ha visto a faccia a faccia i diavoli di Libia e li ha fatti scappare?». Non rispose, ricominciò a tremare, arretrandosi come per istinto: e Alfani raccolse tutta la sua forza per riprendere ad esortarlo: «Or via, non me lo far ripetere!… Vedrai che l’austriaco non tirerà… Aspettiamo un poco: crederanno che abbiamo rinunziato a staccar la vedetta… Farò riprendere il fuoco dell’artiglieria, finché non lo ridurremo a star zitto!»[…][6].

De Roberto racconta l’orrore della guerra, con linguaggio realistico, dando la parola ai soldati che usano i loro rispettivi dialetti e la cui paura va crescendo con il numero dei morti. I soldati, che al fronte credevano di potersi distinguere per imprese eroiche, sono uomini, esseri umani con sentimenti, pensieri, emozioni : “E le ondate dei ricordi, e la turba dei pensieri e la ridda delle immagini lo travolgevano [Alfani], nel silenzio che pareva pieno di tanti rumori”.[7] La guerra è un’esperienza che deve essere “testimoniata”, descritta realisticamente per evidenziarne l’orrore.

Il finale della novella è di impatto emotivo, la decisione del soldato: Morana sceglie il suicidio non si piega all’ordine, al massacro.  “Improvvisamente  gli occhi di Morana lampeggiarono mentre il corpo si torceva per sottrarsi alla stretta. «Ecco…così». E prima che nessuno avesse tempo di comprendere che cosa volesse dire e fare, corse lungo il fosso, fino al cunicolo, si chinò ad afferrare il moschetto, ne appoggiò al ciglio di fuoco il calcio, se ne appuntò la bocca sotto il mento, e trasse il colpo che fece schizzare il cervello contro i sacchi del parapetto.”[8] Orrore nell’orrore…la paura nell’orrore.


[1] F. de Roberto, La paura e altri racconti di guerra, Garzanti, Milano 2021, p.271

[2] Nota del 1 agosto 1917 il Papa Benedetto XV scriveva della “lotta tremenda la quale ogni giorno più apparisce una inutile strage”.

[3] F. de Roberto, in op. cit, p.291

[4] F. de Roberto, in op. cit p.293.

[5] F. de Roberto, in op. cit, p.282.

[6] F. de Roberto, in op. cit, p.292.

[7] F. de Roberto, in op. cit, p.273.

[8] F. de Roberto, in op. cit, p.295.