Dante Oltre il confine

Odio e amore: i due lupi che abitano in noi

di Alessia S. Lorenzi

Secondo una leggenda Cherokee ci sono due lupi in ognuno di noi. “Uno è cattivo e vive di rabbia, odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, bugie, egoismo. L’altro è buono e vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede. I due lupi lottano dentro di noi. Sai quale vince alle fine? Quello a cui tu dai da mangiare”.

Impulsi buoni quindi e impulsi cattivi. I media non fanno che riportarci notizie che raccontano violenza: omicidi, violenze private, padri contro figli e figli contro padri, bullismo, stupri di gruppo, maltrattamenti, violenza sulle donne e, come se questo non fosse già sufficiente, negli ultimi tempi abbiamo dovuto ascoltare anche di maltrattamenti ad un anziano da parte di una baby gang…

Ma l’origine della violenza non è solo collegata all’indole di una persona, entrano in gioco tante variabili istintive, fatte di ira, di aggressività, rabbia repressa che si scatenano in particolare nei confronti dei più deboli, coloro che  hanno meno capacità di difendersi come le donne, i bambini e gli anziani. 

Ovvio che anche la letteratura risenta, oggi come in passato, della violenza che si respira nella vita reale.

Tanti sono gli scritti in cui la violenza prende spunto da fatti realmente accaduti, sia nella letteratura contemporanea, vedi Gomorra di Roberto Saviano, giusto per citarne uno, sia nella letteratura di ogni tempo.

E la Divina Commedia? Poteva il sommo poeta non trattare un tema così importante? Assolutamente no.

Nel viaggio immaginario di Dante tanti sono i riferimenti a violenze di ogni genere. Io  ne ho scelto uno in particolare che tratta proprio la “violenza sulle donne”.

“Caina attende chi a vita ci spense”

Uno dei canti più belli e suggestivi della Divina Commedia è senza ombra di dubbio il Canto V dell’Inferno. Proprio in questo Canto si presenta un caso di duplice omicidio. I protagonisti sono Francesca da Polenta (o da Rimini) e Paolo Malatesta.  Francesca, colpevole di aver tradito il marito Gianciotto Malatesta col cognato Paolo di cui era innamorata.

I due personaggi pare siano  tratti dalla cronaca locale  che doveva essere sicuramente nota ai lettori del tempo, qualora fosse vera.

Non esistono in realtà prove concrete di questo adulterio né che Paolo e Francesca si frequentassero davvero. Dante mise insieme, forse per primo, questa coppia, come l’immagine passionale di due giovani che si trovarono separati dall’inganno delle rispettive famiglie.

Le due potenti famiglie, spesso in contrasto tra loro, pensarono che avrebbero potuto risolvere i loro problemi, facendo sposare Francesca e Gianciotto. Gianciotto (detto Gianne lo Sciancato) non aveva un bell’aspetto, era nato con una malformazione fisica.

Paolo invece era un bel ragazzo (era chiamato Paolo il bello) e la famiglia decise di celebrare il matrimonio tramite procura; quindi inviarono Paolo a chiedere la mano di Francesca. Lei  credette che la richiesta di matrimonio provenisse da Paolo e accettò, ma al termine si ritrovò sposata a Gianciotto.

Dante ascolta le parole di Francesca che gli racconta la sua storia spiegandogli come fu ingannata, e di quanto fosse malvagio il marito, il quale, sospettoso, aveva incaricato un servo di seguire i due giovani con il compito di riferire quanto avesse visto.

Francesca rivolgendosi a Dante,  lo ringrazia per la pietà che dimostra verso di loro:

“se fosse amico il re de l’universo, /noi pregheremmo lui de la tua pace,/ poi c’hai pietà del nostro mal perverso”.

(Inf. Canto V, 91-93)

Poi si presenta, dicendo di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l’uomo che ancora le sta accanto nella morte:

“Amor, ch’a nullo amato amar perdona,/mi prese del costui piacer sì forte,/che, come vedi, ancor non m’abbandona”.  (Inf. Canto V, 103-105)

Entrambi furono assassinati e la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono puniti i traditori dei parenti, attende il loro uccisore (Gianciotto).

A questo punto Dante resta turbato e per alcuni momenti resta in silenzio, gli occhi bassi. Virgilio gli chiede a cosa stesse pensando e Dante risponde di essere colpito dal desiderio amoroso che condusse i due dannati alla perdizione. Poi parla a Francesca chiamandola per nome, e chiedendole  quando si erano accorti che i loro desideri erano reciproci,

“Francesca, i tuoi martìri /a lagrimar mi fanno tristo e pio. /Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, /a che e come concedette Amore /che conosceste i dubbiosi disiri?”

(Inf. Canto V, 116-120)

Francesca risponde dicendo che è doloroso ricordare del tempo felice quando si è miseri, ma se Dante ha un così grande desiderio di conoscere l’inizio della loro storia, la racconterà come chi piange parlando

“dirò come colui che piange e dice.”

(Inf. Canto V, 126)

La donna racconta che un giorno lei e Paolo leggevano per divertimento un libro, che parlava di come Lancillotto si innamorò della regina Ginevra, moglie di re Artù. Più volte i loro sguardi si erano incrociati durante la lettura facendoli impallidire. Quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch’essi si baciarono e quel giorno non continuarono più a leggere il libro.

Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea”(Inf. Canto V, 139-140)

Dante è sopraffatto dal turbamento e sviene.

Trattando la violenza sulle donne,  non posso non ricordare un’ altra donna, Pia de’ Tolomei, che compare alla fine del Canto V del Purgatorio, anche lei vittima di violenza.

Personaggio che sembra di identificazione incerta, anche se, leggendo alcuni commentatori antiche, pare   facesse parte della famiglia dei Tolomei di Siena. La giovane andò in sposa a Nello dei Pannocchieschi, podestà di Volterra e capitano della Taglia guelfa e sarebbe stata uccisa dal marito che la fece precipitare dalla finestra del suo castello della Pietra, in Maremma. La causa del delitto sarebbe, secondo alcuni, la punizione di un tradimento, mentre secondo altri sarebbe stato il desiderio lui di passare a seconde nozze con Margherita Aldobrandeschi.

Dante la colloca tra i morti per forza e peccatori fino all’ultima ora, nel secondo balzo dell’Antipurgatorio. La penitente prende la parola dopo Bonconte da Montefeltro e in pochi versi di eccezionale dolcezza si rivolge a Dante, chiedendogli di ricordarsi di lei dopo che sarà tornato nel mondo, dopo che avrà riposato per il lungo cammino. Si presenta come la Pia, nata a Siena e uccisa in Maremma, come sa colui che l’aveva chiesta in sposa regalandole l’anello nuziale:

«ricorditi di me, che son la Pia:/Siena mi fé, disfecemi Maremma: /salsi colui che ‘nnanellata pria 
disposando m’avea con la sua gemma».  

(Purg. Canto V, 133-136)