35 millimetri

Una notte a Miami: discussione tra passato e presente su razzismo e società

Alfonso Martino

Cosa accadrebbe se quattro icone della comunità nera come Malcom X, Mohammed Alì, Sam Cooke e Jim Brown si riunissero in un albergo a discutere di diritti civili e tematiche razziali?
Questo è l’incipit di Una notte a Miami, primo film da regista di Regina King che riprende l’omonima pièce teatrale scritta nel 2013 da Kemp Powers (co-regista e sceneggiatore di Soul della Pixar).

La regista non entra subito nel vivo della discussione verbale, ma si prende il suo tempo per introdurre allo spettatore i suoi protagonisti: siamo nel 1964 e Cassius Clay/Alì sta per diventare a 22 anni campione del mondo dei pesi massimi, Malcom X è nella sua fase politica più controversa, Brown è una delle stelle della NFL e Cooke si è autoproclamato nell’album uscito un anno prima Mr Soul. In questa fase iniziale del film, King indugia sul rapporto conflittuale dei personaggi con la comunità bianca, come ad esempio nella sequenza del match titolato di Alì, in cui il pubblico fischia lo sportivo per il colore della sua pelle.

La pellicola si accende quando i protagonisti si ritrovano nella camera d’albergo di Malcom per festeggiare il successo del pugile. La location funge da palco teatrale, in cui i personaggi discutono animatamente di religione, razzismo e tematiche sociali. I due che animano di più la scena sono Malcom X e Sam Cooke, i quali hanno una visione diversa riguardo alle stesse tematiche: il primo ha una percezione estremista della causa, mentre il secondo vuole arrivare con la sua musica ai bianchi senza inserire tematiche sociali, dal momento che: <<Dare voce alla lotta fa male agli affari>>. A tal proposito, Malcom cita Bob Dylan e la sua Blowin in the Wind, canzone al vertice delle classifiche dal forte messaggio.

I dialoghi più significativi vengono fatti nel momento in cui i protagonisti sono separati in gruppi di due, per dare modo alla macchina da presa di soffermarsi più da vicino sugli interlocutori, come accade ad esempio nel dialogo tra Brown e Malcom, in cui il primo rinfaccia al secondo che ad essere più indignati sono sempre i light skin come lui; in questo modo, King affronta anche gli scontri presenti nella stessa comunità nera.

La pellicola tratta la tematica dell’uomo di colore apprezzato dal pubblico soltanto quando raggiunge un determinato status sociale, come nel caso di Brown. Malcom fa notare questa cosa all’amico nel momento in cui il giocatore di football vuole accettare una parte da attore a Hollywood, facendo leva su “eroe nero che viene ucciso”.

Una delle scene più interessanti del film riguarda il flashback che comprende Malcom e Cooke, dove il primo assiste ad un concerto del secondo, rimanendo affascinato dalla capacità del cantante di coinvolgere la folla, superando l’ostacolo di un problema tecnico legato al microfono.

La sequenza finale si ricollega in maniera didascalica all’incipit iniziale, mostrando l’evolversi della vita privata e personale dei protagonisti dopo la notte del 1964 a Miami.
Regina King non mostra particolari guizzi registici, lasciando al pubblico un film con inquadrature precise e che si prende troppo tempo per arrivare a quello che dovrebbe essere il focus del film: quattro grandi amici, prima che icone nei loro rispettivi campi, che si confrontano su tematiche che vengono affrontate per tutta la durata della pellicola e che non era necessario presentare con la lunga introduzione iniziale. La scena finale in particolare, poteva concentrarsi interamente sulla figura di Cooke (ben interpretato da Leslie Odom Jr) e sulla sua esibizione di Change Gonna Come, frutto di quel dialogo di metà anni ’60 e che ancora oggi fa discutere, grazie a movimenti come il Black Lives Matter.