Oltre il confine

VITE SPEZZATE: IL VIAGGIO VERSO LA MORTE DI ANNA ED ETTY

di Pierluigi Finolezzi

In Clinamen-periodico di cultura umanistica – n. 4, pagg. 16-18

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. È questo l’insegnamento che Primo Levi all’indomani di una delle più grandi tragedie del secolo scorso ci ha lasciato in eredità e che ogni anno risuona da monito in ricorrenza della Giornata della Memoria. Ma il ricordo di ciò che è stato non deve restare relegato in un giorno qualunque di fine gennaio, perché si deve ricordare ogni giorno, bisogna tenere ben in mente gli errori del passato per evitare che questi vengano ricommessi con gli stessi devastanti effetti. Quanti furono gli innocenti mandati al macello per la follia dell’uomo? I numeri parlano chiaro, ma tuttavia non bastano. Ciò che interessa è il perché, se sempre esiste un perché. Perché forse non è lecito morire per “la sola colpa di essere ebrei”.

Chi ci ha imposto questo? Chi ha fatto sì che noi ebrei fossimo un’eccezione tra tutti i popoli? Chi ci ha costretti a soffrire tanto? urla al mondo Anne Frank l’11 aprile 1944, giungendo forse a trovare una risposta fittizia a questi interrogativi solo pochi giorni dopo con queste parole: Nell’uomo c’è proprio l’impulso di distruggere, di uccidere, di assassinare e infierire, e finché tutta l’umanità non avrà subito una metamorfosi, la guerra continuerà a infuriare e tutto ciò che è stato costruito sarà di nuovo distrutto e disintegrato. Un’altra ebrea di nome Etty Hillesum, due anni prima, riflette sui tempi difficili in cui sta vivendo, annotando quanto segue: Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. Anna ed Etty, due giovani donne ebree, accolte amorevolmente dall’Olanda, separate da pochi canali nell’Amsterdam degli Anni Quaranta e accomunate dallo stesso sogno quello di diventare scrittrici, ma anche dallo stesso crudele destino di massa. La più conosciuta Anne Frank (Francoforte, 1929 – Bergen-Belsen, 1945) giunge ad Amsterdam dalla Germania nel 1935, un anno dopo la salita al potere di Hitler che in pochi mesi l’ha resa a soli 6 anni un’apolide. Le speranze nell’amata terra olandese hanno vita breve dato che nel 1940 i Paesi Bassi capitolano alle truppe naziste e subiscono poco tempo dopo l’imposizione delle leggi antisemite. È nell’estate del 1942 che, però, inizia il calvario della famiglia Frank, quando la sorella di Anne, Margot, riceve l’invito a comparire dinanzi all’Ufficio Centrale di emigrazione per la registrazione e la successiva deportazione. Il precipitare della situazione costringe la famiglia Frank a nascondersi nell’Alloggio Segreto e a vivere in clandestinità sino al 4 agosto 1944. Meno nota, perché giunta più tardi alla conoscenza del grande pubblico, è la storia di Etty Hillesum (Middelburg, 1914 – Auschwitz, 1943) che dopo aver vissuto gran parte della sua giovinezza nella piccola cittadina natale, giunge ad Amsterdam nel 1932 dove comincia a frequentare i più importanti ambienti intellettuali della capitale olandese. Dotata di un’intelligenza spiccata e da una sensibilità fuori dal comune, Etty consegue la laurea in giurisprudenza, pur manifestando dei forti interessi per la letteratura che la fanno abilmente destreggiare tra Rilke, Tolstoj, Dostoevskij, S. Agostino e le Sacre Scritture. Iniziato l’odio antisemitico, Etty, grazie ad alcuni amici, riesce a trovare un posto di lavoro presso il Consiglio Ebraico, un organismo che si occupava della registrazione e smistamento verso il ghetto degli ebrei poi destinati ai campi di concentramento. Ben presto la giovane si rese conto di esser finita nella morsa di un inferno che illudendosi di poter salvare gli ebrei contribuiva, in realtà, al loro annientamento. È questa esperienza e il precipitare della situazione socio-politica circostante che porteranno Etty a prendere delle decisioni drastiche e coraggiose al tempo stesso.

L’amore per la scrittura è il fattor comune che unisce queste giovani ragazze, che vivono il loro rapporto con la penna e la carta come una catarsi che le purifica dal flagello delle circostanze storiche in cui erano state abbandonate dal destino, un amore che prese forma in due diari, oggi testimonianza preziosa di ciò che ha rappresentato la Shoah per una generazione che si stava avviando verso gli anni più belli dell’adolescenza e della gioventù, prima di essere stroncata per sempre dalla falce della Morte. Due diari simili nel messaggio di cui oggi facciamo tesoro, ma tanto diversi negli intenti, nello stile e nei contenuti. La scrittura semplice e familiare di Anne controbilancia quella più articolata e aperta alla speculazione filosofica di Etty. Tuttavia entrambi i registri scelti si prestano perfettamente al contenuto che ognuna delle due autrici si predilige sin dalle prima pagine. Il diario di Anne nasce dal desiderio di avere un’amica del cuore, a cui confidare gli argomenti più intimi, i crucci, i cambi di umore, le riflessioni, le paure, le angosce e le speranze di un’adolescente che improvvisamente è sconvolta dalla Storia e costretta a trasformare involontariamente le pagine indirizzate all’amica immaginaria Kitty in cronaca di quanto succede nell’Alloggio Segreto che condivide con la sua famiglia e altri quattro clandestini, senza rinunciare mai ad uno sguardo sui tragici eventi della Seconda Guerra Mondiale. Il diario di Etty, invece, nasce come farmaco a quello che l’autrice chiama costipazione intellettuale e che lo psicochirologo Julius Spier, suo amico e amante, ha consigliato di superare proprio attraverso l’esercizio della scrittura che aiuterà la Hillesum ad aprire la sua visione sul mondo, a ritrovare Dio in se stessa e ad affrontare il grande dramma della Shoah con coraggio e accettazione, ma mai con rassegnazione.

Il desiderio di vivere e di essere utili al prossimo sono i due fulcri su cui si reggono le pagine dei due diari, ma non mancano momenti di sconforto che sembrano far precipitare le due autrici nel dramma della Storia. Speriamo che adesso succeda presto qualcosa, alla peggio anche una bomba, tanto non ci sconvolgerebbe più di questa inquietudine; che venga una fine, anche se dura, così almeno sapremo se vinceremo o coleremo a picco, ma Anne non può permettersi di abbandonarsi al pessimismo e presto estasiata dalla bellezza del creato riprende coraggio immergendosi in delle magnifiche riflessioni che la portano ad evadere dal suo stato (splende il sole, il cielo è azzurro intenso, soffia un venticello meraviglioso e vorrei tanto, vorrei tutto…) e a ringraziare Dio di tutte le cose buone, care e belle, ma anche di gridare incessantemente il suo attaccamento alla vita: voglio continuare a vivere anche dopo la morte. Lo sconforto di Etty traspare invece nelle annotazioni del 10 novembre 1941 (Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura) e matura nelle parole del 3 luglio 1942 (Vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so) alla conclusione delle quali, però, la Hillesum ha conquistato il motto la vita è bella e ricca di significato che guida la sua missione umana e che continuerà a darle forza oltre la deportazione. Il sentimento filantropico della Hillesum la porta ad affermare in maniera pressoché rousseauiana che gli uomini hanno al loro interno un marciume che li indirizza a distruggere i loro simili. Una simile condizione può essere superata solo se ogni uomo è in grado di raccogliersi in se stesso e ad estirpare dalla propria interiorità questo odio marcio, creando una società buona e sana. La ricerca delle origini della propria esistenza, che anima tutto il diario di Etty, si trasforma in un atteggiamento verso la vita che è stato definito altruismo radicale. La filantropia spinge la giovane ebrea verso delle scelte folli, ma destinate a lasciare il segno nel dramma, trasformandolo in un controdramma: Etty decide di abortire per impedire che suo figlio possa restare vittima della follia nazista (ti sbarrerò l’ingresso a questa vita e non dovrai lamentartene) e infine spinta da uno spasmodico e affascinante amore per l’umanità decide volontariamente di essere deportata nel campo di smistamento di Westerbork per condividere il destino con il suo popolo e diventare il cuore pensante della baracca e il balsamo per molte ferite (se si vive interiormente e con Dio, forse non c’è differenza tra l’essere dentro o fuori le mura di un campo). Il 7 settembre 1943 Etty sale sul suo vagone della morte, diretta ad Auschwitz assieme alla sua famiglia. Di lei sole due testimonianze prima di scomparire nel nulla: le parole dell’amico Jopie che la ritraggono allegra, gentile e ricca di umorismo anche prima della partenza e una cartolina indirizzata all’amica Christine lasciata cadere dal finestrino del treno e sulla quale c’era scritto: Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e così mio fratello Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro! Un anno dopo, il 1 agosto 1944, anche il diario di Anne Frank resta sospeso nel vuoto dato che solo tre giorni dopo la Gestapo scoverà l’Alloggio Segreto e determinerà la fine degli otto clandestini. Di lei solo il ricordo dei sopravvissuti che la descrivono allegra e di buon umore, ancora profondamente attaccata alla vita e impegnata nella sua risolutezza ad aiutare un gruppo di bambini. Poi l’epidemia di tifo e il silenzio spazzano via questi ultimi aneliti di speranza dal campo di Bergen-Belsen. Soit gentile et tiens courage! è l’invito che Anne ha lasciato sulla copertina del suo diario.

Anna ed Etty due piccole, ma grandi donne che alla luce dei loro quindici e ventinove anni, benché consapevoli della sorte che pendeva sulle loro teste, hanno saputo vivere fino in fondo il tempo che le era stato concesso, rendendolo ricco e traendo frutto dalle vicende drammatiche vissute, fornendo a noi uomini del loro tanto sognato futuro una lezione su come spendere il tempo concessoci, ripudiando l’odio e sfruttando con coraggio, determinazione e accettazione ogni attimo dell’esistenza donataci da un Dio pantocratore, buono e presente che non può assolutamente rispondere alle azioni di un uomo che lo ha disseppellito negli abissi della propria interiorità.