Intervista a Renato Cortesi

di Lorenzo Di Lauro

Questo mese abbiamo il piacere di ospitare sulle nostre pagine Renato Cortesi, importante attore e doppiatore. La sua poliedricità lo ha portato a lavorare nei più prestigiosi teatri italiani, e a diventare nel corso del tempo uno dei doppiatori italiani più apprezzati, dando la voce ad attori come Gerard Depardieu, Andrè Dussolier, William Hurt e Derek Jacobi, oltre che a tanti personaggi dei film d’animazione, da Lafayette ne Gli Aristogatti a Pippo, entrambi per la Disney.

Quali sono stati i suoi inizi nel mondo del teatro e cosa ha rappresentato  nel suo percorso di attore?

Il mio lungo percorso in teatro è cominciato una mattina di Natale di tanti anni fa, quando io avevo appena dieci anni. Mi trovai di fronte il mio primo teatrino di marionette, con personaggi, sia maschili che femminili, che impersonavano buoni e cattivi. Io già allora davo le voci e li facevo tutti. È stato un ottimo allenamento giovanile.

C’è uno spettacolo, un regista, un collega al quale si sente più di tutti legato? Quale teatro e quale città le hanno regalato le migliori emozioni?

Come registi ne potrei citare tanti. A livello cinematografico ho avuto modo di conoscere gente di spessore come Visconti e Petri. Come teatro sono sicuramente legato a quello di Bergamo, dove ho cominciato a 13 anni con il mio primo spettacolo. Un lungo percorso mi ha portato prima a Milano, al Teatro Piccolo, e infine a Roma, dove vivo.

Come attore televisivo e cinematografico ha lavorato con pilastri come Lino Banfi, Gigi Proietti, Carlo Verdone, Virna Lisi, Stefania Sandrelli e tanti altri. Nel lontano 1989 prese parte al film televisivo “Il banchetto di Platone”, ispirato al tema dell’eros nel Simposio. In quell’occasione il cast comprendeva tantissimi attori stranieri, soprattutto francesi. Che ricordi ha di quest’esperienza?

Ero l’unico italiano nel cast ad interpretare un ruolo principale: questa fu la volontà del regista Marco Ferreri, con cui avevo un legame di amicizia. Era un lavoro importante, in quanto trattava un tema classico. Irene Papas, la protagonista femminile, era veramente molto talentuosa.

Il suo legame con la Francia prosegue anche nel mondo del doppiaggio, campo dove ormai opera da più di mezzo secolo. Ha infatti doppiato in moltissimi film gli attori Gerard Depardieu e Andrè Dussolier. Con quali dei due si è formata la migliore intesa voce/volto? Ha avuto modo di conoscerli?

Ho avuto la fortuna di conoscere entrambi. Depardieu l’ho conosciuto a Cannes tanti anni fa. È un grande attore che nutre tanta stima di me, ma allo stesso tempo un personaggio un po’ grossolano. Andrè Dussolier, che ho incontrato a Nizza, è invece una persona fine, elegante ed aristocratica, e un po’ mi ci rivedo. Senza nulla togliere a Depardieu, credo che sia maggiore la mia affinità con Dussolier.

E’ stato la voce di Lafayette ne Gli Aristogatti, di Pippo, di Tigro e di tanti altri personaggi del mondo dell’animazione. A quali di questi è maggiormente affezionato e qual è la differenza tra doppiare un attore e un personaggio animato?

Sono sicuramente molto legato a Lafayette, che ho doppiato con accento bergamasco, mentre il mio collega Mario Feliciani ha doppiato Napoleone con accento milanese. La scelta della cadenza settentrionale è legata al fatto che nella versione originale gli attori avevano caratterizzato i due personaggi con una parlata vicina al mondo campagnolo, e quindi si distinguevano rispetto a tutti gli altri. Ho fatto il primo Tigro, e ne ho intuito subito le caratteristiche: sono ben lieto di averlo doppiato. Con i personaggi di cartoni deve esserci aderenza con il disegno, e quindi è bene diverso che dare la voce ad un attore, con il quale si deve avere un’aderenza vocale.

La sua voce è stata anche una di quelle maggiormente richieste dai registi italiani, a cominciare da Federico Fellini, con il quale ha avuto modo di lavorare in quasi tutti i film a partire dalla fine degli anni Sessanta. Con quale film ha cominciato e perché venivano doppiati più personaggi dallo stesso attore?

Ricollegandomi alla domanda sul regista con cui ho legato di più, posso tranquillamente rispondere che è proprio lui. Con Fellini è nata un’amicizia inaspettata. Per lui avrò doppiato centinaia di personaggi diversi, perché nei suoi film ne facevo sempre tantissimi. Questo succedeva perché ero molto abile a combinare dialetti e lingue differenti tra di loro, così Fellini mi impiegava per doppiare anche i personaggi del Meridione, pur avendo l’accento settentrionale. Se c’era da fare il pugliese, facevo il pugliese, se c’era da fare il tedesco, facevo il tedesco. Nel Casanova ho avuto modo di dare la voce a tantissimi personaggi, ma anche in altri film come Roma e Amarcord.

Un grande classico del cinema come Arancia meccanica ha da poco compiuto cinquant’anni. Le leggende narrano che anche lei partecipò ai provini per doppiare Malcom Mc Dowell. La scelta del direttore Mario Maldesi cadde sul suo collega Adalberto Maria Merli. Come mai non fu scelto?

I provini per il doppiaggio del film durarono circa un mese. Furono provati un sacco di attori giovani come Giancarlo Giannini, Romano Malaspina e Luigi La Monica. Io rimasi nel gruppetto di attori che fecero il provino finale, sotto la supervisione di Kubrick. Con mia grande sorpresa mi venne consegnata una busta con scritto “That’s a lovely fanatic!”, perché il regista aveva scelto me per dare la voce a Malcom Mc Dowell. Però Mario Maldesi, che conosceva bene gli attori che avevano fatto i provini, sapeva che doppiavo soprattutto personaggi positivi e simpatici, per cui ritenne che era necessario assegnare il ruolo ad Adalderto Maria Merli, che aveva una voce potente e cattiva come quella di Mc Dowell. Infatti durante i provini mi ricordo che mi misi ad urlare come un pazzo nelle scene più cruente, e compresi da solo che forse quel personaggio non era nelle mie corde. Ho accettato di essere sostituito, ma molto professionalmente ho doppiato un piccolo personaggio all’inizio del film, quando il protagonista entra in un negozio di dischi.

A quali progetti sta lavorando adesso? Si sente soddisfatto della sua lunga carriera?

Quest’anno sono 83, quindi credo sia opportuno ritirarsi, anche per rispettare il mio curriculum, che considero ricco e fortunato. Sono soddisfatto del mio lungo percorso, e credo di aver sempre privilegiato la qualità.