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Uno Status Animarum della città di Lecce

Enrico Molle

Registri parrocchiali e Status Animarum

Nel 1563, durante il XIX Concilio ecumenico della Chiesa Cattolica tenutosi a Trento, tra le altre cose, si stabilì che in tutte le parrocchie dovevano essere istituiti i registri di matrimonio (Liber matrimoniorum) e quelli di battesimo (Liber baptezatorum); successivamente, nel 1614 il Rituale Romano di Papa Paolo V istituì altri due registri, quello delle sepolture (Liber mortuorum) e lo Stato delle Anime (Status Animarum).
Questi registri dovevano obbedire alle precise formalità definite dal rito romano, secondo il quale ogni documento pubblico doveva riportare il luogo, la data e la natura dell’atto iscritto, il nome dell’officiante, il nome delle parti interessate, quello dei testimoni presenzianti e doveva essere sottoscritto dall’ufficiale. La Chiesa Cattolica prescrisse che nei suoi registri le persone dovevano venire designate non solo con il nome, ma anche con l’indicazione della parentela e della parrocchia di appartenenza. Queste informazioni, come è facilmente deducibile, conferiscono a questi documenti un’importanza fondamentale nelle ricerche documentarie.
Oggi i registri parrocchiali vanno dunque a costituire un patrimonio storico e sociologico ineguagliabile, punto di riferimento di una completa ed accurata ricerca genealogica, rappresentando un’importantissima fonte di informazioni, principalmente per la demografia e per la ricerca genealogica, ovvero per la ricostruzioni delle origini di una persona o di una famiglia. Infatti, di norma, ogni annotazione di battesimo riporta i nomi dei genitori (a volte però con il cognome del solo padre) e in tal modo è possibile sia identificare univocamente la linea genealogica, sia risalire indietro negli anni ricercando gli atti relativi ai genitori. L’informazione aggiuntiva della parrocchia di provenienza, inoltre, permette di continuare la ricerca a ritroso sui registri di quest’ultima parrocchia.
Le annotazioni riportano anche nomi di testimoni o di madrine e padrini, che possono essere utili per identificare meglio i personaggi ricercati. Tuttavia è forte il rischio di omonimie in quanto, sull’onda della Controriforma, andarono gradualmente scomparendo molti nomi particolari a favore dei nomi di santi riconosciuti. Si verificò, in sostanza, una rarefazione dei nomi usati con una conseguente maggiore frequenza di omonimie, fonte di maggior rischio e di confusione per il ricercatore. Un ulteriore elemento di incertezza (ma in alcuni casi anche un aiuto) è dato dalla diffusione dell’uso di dare ai nipoti, non solo primogeniti, il nome dei nonni. In famiglie numerose, come avveniva di regola in passato, questo porta a difficoltà crescenti per la ricerca.
La stesura dei registri parrocchiali, in particolare nei primi secoli dopo l’introduzione dei Liber, ma in alcune diocesi fino al XX secolo, avveniva in latino, secondo formule costanti a seconda dei diversi tipi di registrazioni (battesimo, matrimonio, morte). Nei casi di parroci di campagna, solitamente di scarsa istruzione, la lingua latina poteva risultare imprecisa e si poteva incappare in casi in cui ci si allontanava dalla formule di rito. Ciò si verificava quando a margine, o tra le registrazioni cronologiche, venivano annotate notizie particolari o degne di nota: una carestia, una nevicata particolarmente intensa, un terremoto, una disgrazia, una battaglia o un fatto notevole accaduto alla persona di cui si fosse registrato il battesimo. Tali notizie accrescono chiaramente l’importanza di questi documenti.
Il valore storico di questa documentazione si riduce man mano che si esce dalla ricerca individuale delle origini di famiglia e ci si addentra nelle vicende generali di un territorio o di una popolazione: se ne possono trarre comunque elementi demografici, onomastici, toponomastici e perfino lessicali o linguistici (specialmente nel caso di note in italiano).Gli Stati delle Anime (Status Animarum) sono dei registri che contengono dati anagrafici e religiosi di una comunità parrocchiale. Ogni parroco fu tenuto a compilarli già dal 1614 in seguito al Rituale Romano di Papa Paolo V. Questa documentazione era redatta o aggiornata annualmente, di solito in occasione della visita compiuta dal sacerdote nelle case dei parrocchiani per la benedizione pasquale. Sul registro venivano annotati i fedeli secondo i nuclei o fuochi famigliari, intesi non come famiglia naturale, ossia composta da tutti gli individui uniti da vincoli di parentela, ma come comunità comprensiva di chi si è unito alla famiglia per altre ragioni, solitamente economiche e lavorative, o per condivisione dell’abitazione. A partire dal capofamiglia, di ciascun individuo sono riportati generalmente nome e cognome, età, rapporto di parentela che lo lega la nucleo famigliare e condizione rispetto ai sacramenti di battesimo, comunione e cresima.
Solitamente sono conservati negli archivi parrocchiali di pertinenza, quando esistenti, o tra i libri parrocchiali (libri dei battezzati, libri dei matrimoni, libri dei defunti); nei casi di parrocchie soppresse o accorpate, la loro conservazioni è affidata agli archivi diocesani.
Quando gli Stati delle Anime sono particolarmente accurati riportano altre annotazioni importanti come i nomi delle vie e delle contrade, la proprietà dell’abitazione (propria o in affitto), la condizione lavorativa del capofamiglia, la presenza di domestici e servitù.
Risultano dunque una fonte importantissima per gli studi demografici, sociali, toponomastici e per le ricerche genealogiche. Da un punto di vista genealogico, gli Stati delle Anime si rivelano una fonte essenziale per individuare anche eventuali collaterali, ovvero i vari figli di un unico capofamiglia, il quale veniva quasi sempre nominato per primo. Generalmente le ricerche genealogiche su famiglie non nobiliari si devono limitare ai più antichi Stati delle Anime disponibili: ricerche che raggiungano date ancora più antiche possono essere compiute consultando i documenti di una partecipanza agraria per le poche famiglie che ne facciano parte.
Quando gli Stati delle Anime non riportano i dati necessari per l’analisi demografica o genealogica, consentono ugualmente la valutazione numerica e lo studio di altri aspetti strutturali della popolazione. Vi è, tra l’altro, la possibilità di stimare l’intensità dei flussi migratori, confrontando famiglie e individui presenti o assenti in Stati delle Anime di anni diversi.

Uno Status Animarum della città di Lecce

Riporto in questa sede le considerazioni di uno studio di un documento risalente al 1631, uno Status Animarum della città di Lecce, al quale ho avuto accesso durante il mio percorso universitario. Tale documento è stato rinvenuto nell’Archivio vescovile di Lecce da Pietro De Leo, che lo ha esemplarmente commentato, descrivendoci il corpo della città, ossia la sua ripartizione topografica. Il documento è uno di quegli Status Animarum che l’autorità ecclesiastica provvedeva a far compilare, solitamente affidandone la materiale redazione ai parroci, ogni volta che sorgeva la necessità di avere sotto gli occhi un prospetto, il più possibile completo, attuale ed esatto, dei fedeli che, essendo soggetti alla potestà ordinaria del vescovo, costituivano il gregge cui andavano impartiti i sacramenti e sul quale si esercitava, tramite la direzione dei parroci, il governo spirituale del presule.
Questo Status Animarum fu compilato nel 1631, in esecuzione di una precisa disposizione data tre anni prima da Andrea Perbenedetti, vescovo di Venosa, il quale, giunto a Lecce come delegato apostolico di Urbano VIII, il 1628 condusse e celebrò una santa visita ed un sinodo diocesano, i cui atti sono ora custoditi nell’Archivio vaticano. La compilazione di questo status fu affidata a quattro curati, ciascuno per zona di competenza, ed il parroco che se ne assunse la materiale redazione escluse dalla nota delle anime commesse al ministero suo e dei confratelli quelle dei religiosi e delle claustrali, in quanto soggetti esenti dalla giurisdizione dell’ordinario, i membri della famiglia vescovile e, stando al saggio di De Leo, quelli delle famiglie di rito greco, cioè mercanti e artigiani, albanesi e greci, residenti o presenti a Lecce.
Il pregio di questo documento non consiste tanto nella sua veste linguistica, che è il volgare seicentesco di uso corrente, o nell’originalità del suo contenuto, né tanto meno trae motivi di particolare interesse in grazia dell’epoca in cui fu compilato, essendo già note, attraverso gli studi di economia demografica e di topografia storica, altre fonti archivistiche di materia simile a quella dello Status e a questo anteriori: l’importanza del documento risiede nella sua qualità di costruire un repertorio, topograficamente strutturato ed analiticamente articolato, dei soli cittadini soggetti alla giurisdizione diocesana e nella finalità di rappresentare uno strumento valido alla misura e al controllo della consistenza quantitativa e qualitativa dei fedeli. Tutto ciò ci indica in qual modo tali esigenze fossero state avvertite e riconosciute dal Perbenedetti come rientranti nei compiti di un oculato governo pastorale, anche ai fini di magistero gerarchico e di direzione disciplinare.
In definitiva, per le sue caratteristiche di prospetto redatto da un’autorità che non era quella civile e per fini diversi da quelli pubblicistici, solitamente fiscali, cui invece rispondevano i catasti onciari, lo Status, se potrà essere poco utile a chi conduce ricerche di statistica demografica, essendo molte le persone omesse poiché appartenenti a diversi ordini religiosi e a vari ceti sociali, rappresenta una fonte di informazione di primario interesse, sia come strumento di sicuro riscontro alle notizie fornite dai cronisti o conservate nei coevi rogiti notarili dell’Archivio di Stato di Lecce, sia come copioso indice di consultazione in tema di ricerche di topografia e toponomastica urbana, infine come risposta, anche esclusiva, a non poche domande di storia ecclesiastico-religiosa, civile e politica, economica e sociale della Lecce seicentesca.
Il documento analizzato da De Leo (giunto quasi integro) ci presenta una scrittura nitida di tipo umanistico, complessivamente priva di difficoltà, difatti oltre a pochissime abbreviazioni comuni, si notano segni criptografici, soliti negli Stati delle Anime. L’inchiostro bruno è ben conservato, salvo nel margine di alcuni fogli, intaccati dall’umidità. La carta sembra provenire da Fabriano, come si rileva dalla filigrana.

Lo Stato delle Anime è condotto secondo le quattro parrocchie urbane, a loro volta suddivise in Isole e Fuochi:

1) Parrocchia Cattedrale, 3242 anime e 766 fuochi;

2) Parrocchia di S. Maria delle Grazie, 1785 anime e 453 fuochi;

3) Parrocchia della Madonna della Porta, 3264 anime e 837 fuochi;

4) Parrocchia di S. Maria della Luce, 1953 anime e 554 fuochi.

In tutto si contano 2610 fuochi e 10244 anime.