Approdi

Mistero in Siberia: l’incidente del Passo Djatlov

di Federico Battaglia

In poche occasioni l’uomo non è stato in grado di trovare una spiegazione chiara e coerente a ciò che era appena accaduto. Si pensi al caso della fattoria Hinterkaifeck, in Germania, o a quello della nave olandese Ourang Medan, che naufragò nelle acque indonesiane. Tutti misteri che non vennero risolti e che divennero, con il passare del tempo, dei veri e propri enigmi da studiare. Questo ha portato numerosi scienziati e ricercatori ad interessarsi a quei fatti e a reperire materiale, talvolta chiedendo aiuto anche alle istituzioni. Un lavoro duro, condizionato dal troppo tempo trascorso, ma che non ha mai smesso di esserci, nemmeno con l’evento più problematico e incomprensibile dell’età contemporanea: l’incidente del passo Djatlov, avvenuto in Unione Sovietica.  

I membri della spedizione

Nel pieno della guerra fredda, alcuni ragazzi decisero di formare un gruppo per intraprendere un’escursione con gli sci, attraverso gli Urali settentrionali. La comitiva, guidato da Igor Djatlov, era composta da otto uomini e due donne, di un’età compresa tra i ventuno e i ventiquattro anni. Erano tutti iscritti ai corsi del Politecnico di Ekaterinburg, oggi Università federale degli Urali. L’obiettivo della spedizione era raggiungere il monte Otorten, distante un centinaio di chilometri dal punto di partenza. Il percorso scelto, in quella stagione, era valutato di terza categoria, il livello di pericolosità più alto. Un particolare che non intimidì i dieci ragazzi, i quali avevano alle spalle molte esperienze escursionistiche tra le montagne della Russia.

La marcia verso l’Otorten

Gli studenti si misero in marcia il 27 gennaio 1959, percorrendo una ventina di chilometri. Il giorno seguente, uno di loro fu costretto a tornare indietro, per via di un’indisposizione. Nonostante la perdita di uno dei componenti più esperti, la spedizione andò comunque avanti, fino a spingersi a dieci chilometri dall’obiettivo. Era il 1° febbraio e di lì a poco la situazione sarebbe precipitata. A causa del peggioramento delle condizioni climatiche, la visibilità calò di molto e il gruppo perse l’orientamento. Con la tempesta di neve in atto, non si accorsero della deviazione che stavano facendo, verso la cima del monte Cholatčachl’. Quando capirono l’errore commesso, scelsero di fermarsi e di accamparsi sul pendio della montagna, probabilmente in attesa che il tempo migliorasse. Da quel momento in poi nessuno ebbe più notizie di loro.

Fu necessario l’intervento dei familiari per predisporre e inviare dei soccorsi. Il direttore del Politecnico inviò un primo gruppo di salvataggio formato da studenti e insegnanti volontari, ai quali si aggiunsero successivamente i soldati dell’Armata Rossa.

Le squadre di soccorso a lavoro

Il 26 febbraio fu ritrovata la tenda abbandonata sul Cholatčachl’, in pessimo stato. Era lacerata dall’interno e da questa si potevano seguire delle impronte che si dirigevano verso i boschi vicini. Sul perimetro della foresta, sotto un grande cedro, la squadra di ricerca trovò i resti di un fuoco, insieme a due corpi, entrambi scalzi e vestiti solo della biancheria intima. Tra l’albero e il campo furono ritrovati altri tre ragazzi, deceduti in una posizione che sembrava suggerire che stessero tentando di ritornare alla tenda. I resti degli altri quattro escursionisti furono cercati per più di sessanta giorni, senza risultati. Vennero infine ritrovati il 4 maggio, sepolti sotto un metro e mezzo di neve, a cinquecento metri dal cedro.

Le autorità effettuarono subito le autopsie, che diedero i seguenti risultati: sei membri del gruppo erano morti per ipotermia, mentre gli altri tre per una combinazione di ipotermia e traumi fatali. Inizialmente si pensò che gli indigeni Mansi, un piccolo gruppo etnico uralico, avessero attaccato e ucciso gli escursionisti per aver invaso il loro territorio. L’ipotesi dell’aggressione venne tuttavia scartata, per la mancanza di tracce sulla neve e di segni di colluttazione corpo a corpo sui cadaveri. L’inchiesta che seguì la tragedia non portò a nessun risultato e fu chiusa per assenza di colpevoli. Nel verbale conclusivo venne riportato che i membri del gruppo erano tutti morti a causa di una “irresistibile forza sconosciuta” che li avevi costretti ad uscire dalla tenda e a morire per le temperature troppo basse.   

Nonostante l’archiviazione del caso, gli studi sull’incidente del passo Djatlov non smisero di esserci, arrivando a toccare anche il ventunesimo secolo. La documentazione è stata analizzata a più riprese, sia dagli scienziati russi che da quelli del mondo occidentale. Il nodo più importante da risolvere riguardava la condizione e la posizione dei corpi dei giovani studenti. Alcuni avevano solo una scarpa, altri non le avevano affatto o indossavano soltanto i calzini. Una spiegazione di questa circostanza è stata data da un medico australiano, il quale ha menzionato un comportamento chiamato “spogliamento paradossale”, presente nel 25% delle morti per ipotermia. In questa fase, che solitamente si verifica nel passaggio da uno stato di ipotermia moderato a uno grave, il soggetto diventa disorientato e aggressivo, arrivando a strapparsi i vestiti di dosso. Questo perché avverte una falsa sensazione di calore superficiale che finisce per accelerare la perdita di calore corporeo.

Nel 2014, è stata elaborata una nuova teoria, presentata dallo statunitense Donnie Eichar. Secondo la sua interpretazione, nella notte tra l’1 e il 2 febbraio il passo sarebbe stato colpito da una “tempesta perfetta” che avrebbe originato dei violentissimi mini tornado proprio nei pressi dell’accampamento. Oltre all’assordante rumore, si sarebbe generata anche una gran quantità di infrasuoni che, pur non essendo percepibili dall’orecchio umano, causano effetti sfavorevoli sul corpo, come perdita di sonno, nausea, mancanza di respiro e attacchi di panico. L’insieme di questi fattori avrebbe portato i ragazzi alla follia, spingendoli ad abbandonare la tenda.

Le supposizioni di Eichar e quelle di tanti altri hanno convinto le autorità russe a riaprire il fascicolo sul passo Djatlov. Nel luglio 2020, la Procura generale di Sverdlosk ha chiuso definitivamente il caso, individuando la causa della tragedia in una valanga, che travolse il settore in cui si erano fermati gli escursionisti. La tesi a sostegno di questa deliberazione riguardava proprio la zona di accampamento, che si trovava in un punto in pendenza ad alto rischio di smottamenti. I ragazzi sarebbero stati colti di sorpresa dalla valanga e avrebbero tagliato la tenda, ormai sepolta dalla neve, per uscire e trovare rifugio tra gli alberi. I tre feriti gravi, invece, sarebbero stati portati fuori da chi non era stato colpito, in un estremo tentativo di salvataggio. 

La sentenza ha incontrato l’approvazione della maggior parte del mondo accademico, senza, però, riuscire a cancellare ogni dubbio. Alcuni medici hanno sollevato delle perplessità sull’entità delle ferite riportate. Le lesioni da trauma contusivo e ai tessuti molli non corrispondevano a quelle tipicamente causate dalle valanghe. Una versione, questa, che deve essere tutt’ora chiarita e che ha rinviato ancora una volta la risoluzione dell’incidente, oramai avvenuto più di sessant’anni fa.

Come si è potuto notare, la ricerca ha tentato in tutti i modi di offrire una spiegazione plausibile agli eventi di quella notte, sia per alleviare la sofferenza provata dai parenti delle vittime sia per sventare ipotesi inverosimili, come quella relativa alla progettazione di un’arma segreta, sperimentata dall’allora governo sovietico e fortemente radioattiva.
Una tragedia misteriosa, come quella del passo Djatlov, non poteva che dare adito a trame complottiste, utili per ottenere più attenzioni, ma totalmente nocive nel processo di ricostruzione della verità. Non si saprà mai con certezza cosa successe in quel febbraio del ’59, sebbene ci siano stati molteplici tentativi dal punto di vista scientifico. Il mistero rimarrà e continuerà a suscitare interesse nelle persone, le quali dovranno decidere su quali teorie fare affidamento. L’unica certezza che potranno trovare, in tutto ciò, riguarda proprio l’inizio di tutta la vicenda: la storia di un gruppo di ragazzi che, dopo essere partiti per esplorare la natura, non hanno fatto più ritorno.